Fiore

Regia di Claudio Giovannesi

con Daphne Scoccia (Daphne Bonori), Josciua Algeri (Josh), Valerio Mastandrea (Ascanio Bonori), Laura Vasiliu (Stefania), Tatiana Lepore (Tatiana), Gessica Giulianelli (Gessica), Klea Marku (Irene Mancini), Francesca Riso (Brenda Russo), Aniello Arena (padre di Gessica), Greta Manuzi (se stessa).

PAESE: Italia 2016
GENERE: Drammatico
DURATA: 109′

Arrestata a Roma per rapina, la giovane Daphne si ritrova in un carcere minorile dove maschi e femmine non si incontrano mai, se non la domenica per la messa o per rari eventi come il capodanno. Mentre sogna che il padre Ascanio, che ha una nuova compagna ed è lui stesso in libertà vigilata, la prenda a vivere con sé, inizia una storia d’amore a distanza con il detenuto Josh, che però presto viene trasferito a Milano. Quando ottiene un permesso per partecipare alla comunione del figlio della compagna del padre, medita la fuga verso il nord.

Come nel precedente Alì ha gli occhi azzurri (2012), sempre scritto con Filippo Gravino (cui si aggiunge Antonella Lattanzi), Giovannesi sceglie di raccontare le ombre del crescere in un mondo già di per sè complesso ma che, in certi ambienti, diventa spietato. Senza giudicare, senza voler per forza dimostrare, ma preferendo le molte sfaccettature di un (apparentemente) semplice mostrare. Senza moralismi, senza pretendere di avere la soluzione in tasca, ma semplicemente raccontando chi raramente viene raccontato, ovvero quel sottoproletariato tanto caro al primo Pasolini (già modello esplicito di Alì). Anche se lo sguardo è così carico di pietas, così anti-ideologico e libero da facili intellettualismi, da ricordare piuttosto la novelle vague: la corsa sulla spiaggia sembra citare direttamente I 400 colpi di Truffaut, non a caso uno dei grandi capolavori sul tema dell’innocenza rubata. Il regista cerca spontaneità e naturalezza anche nella messa in scena, con la camera perennemente a mano e perennemente appiccicata alla sua protagonista, sulla quale costruisce l’intero film. Indugia sul suo corpo esile e fine ma combattivo e rabbioso, sempre irrequieto come se non sapesse come porsi all’interno dello spazio, come se si sentisse sempre fuori posto rispetto ai luoghi che frequenta e più in generale alla vita stessa.

Se questo discorso esce così bene, ovvero se il film è così potentemente simbolico, il merito è anche (o soprattutto?) della straordinaria prova dell’esordiente Scoccia, incontrata dal regista mentre faceva la cameriera in una trattoria romana e subito convinta a partecipare al casting per il film. Molto bravo anche Algeri, la cui vita si è spezzata troppo presto a causa di un incidente in moto nel 2017. Lo stile rimane realistico, a tratti quasi documentario, ma non ci vuole molto ad accorgersi che la regia di Giovannesi è in realtà studiata nei minimi dettagli, a esaltare un’idea di cinema che vuole, o forse che DEVE, sondare ogni dettaglio per provare a comprenderlo. Molto belli anche i passi onirici, come quelli in cui Daphne sogna le carezze del padre o le coccole di Josh. Grande come sempre la fotografia di Daniele Ciprì. Musiche del regista con Andrea Moscianese. Tenero e crudele, è un film che non si scorda. Un solo David di Donatello a Mastandrea, ma ne avrebbe avrebbe meritati molti altri (incredibile non averne assegnato uno a Scoccia). Da non perdere.

Questa voce è stata pubblicata in 2000 - oggi, Genere Drammatico e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *