(Drive-Away Dolls)
Regia di Ethan Coen
con Geraldine Viswanathan (Marian), Margaret Qualley (Jamie), Beanie Feldstein (Sukie), Colman Domingo (il capo), Pedro Pascal (Santos), Bill Camp (Curlie), Matt Damon (senatore Channel), Joey Slotnick (Arliss), C.J. Wilson (Flint), Miley Cyrus (Tiffany Plastercaster).
PAESE: Inghilterra, USA 2024
GENERE: Commedia
DURATA: 84′
Filadelfia, 1999. Due amiche lesbiche – la disinibita e promiscua Jamie e la repressa Marian – decidono di noleggiare un’auto e partire per Tallahassee dove abita la zia della seconda. Per un errore dell’impiegato del noleggio, si ritrovano a guidare una vettura che scotta e che fa gola a un trio di criminali che lavorano per un senatore repubblicano candidato alla presidenza.
Primo film di finzione di Ethan Coen senza il fratello Joel, che aveva già esordito in solitaria tre anni prima con l’ottimo Macbeth (2021) con Denzel Washington. Tanto quanto è cupo, oscuro, profondo e raffinato il film di Joel, tanto è colorato, scanzonato, leggerissimo quello di Ethan, che filma una vecchia sceneggiatura scritta da lui con la moglie Tricia Cooke, già montatrice dei film girati in coppia dai due fratelli. Qualcuno l’ha definita, a ragione, una commedia queer on the road (la stessa Cooke si identifica come queer), e in effetti ci sono tutti gli stereotipi sia del buddy-movie on the road sia della commedia saffica che spopola ormai da diversi anni. Il ribaltamento dei topos classici del noir (basti pensare al contenuto della valigetta/macguffin della vicenda) rivela che Coen non ha dimenticato il cinema fatto con il fratello (e ci mancherebbe!) nè le rotture dell’altro alfiere del post-modernismo anni novanta, ovvero Tarantino, ma il film non è nulla di più che una coppia sbiadita (nonostante i colori sgargianti) dei loro film migliori, privo di personaggi di contorno davvero irresistibili (eccezion fatta forse per la Sukie di Feldstein), affidato a una trama fin troppo esile e a dialoghi carini ma non impagabili, politicamente scorretti quanto si vuole (è probabilmente il film con più dialoghi sui vibratori della storia del cinema) ma mai davvero graffianti, e alla fine la riuscita dell’opera sembra affidata esclusivamente alle doti delle due attrici protagoniste, in effetti molto brave e in parte. Davvero brutte, invece, le animazioni in CG degli inserti psichedelici e dei titoli di coda. Per ora Joel batte Ethan abbondantemente, ma si vedrà cosa ci riserva il futuro. Forse per evitare che si perdessero accenti e trovate linguistiche affidate allo slang geografico e temporale della vicenda, il film è arrivato in sala con sottotitoli ma senza doppiaggio. Musiche del coeniano Carter Burwell.