Café Society

(Café Society)

Regia di Woody Allen

con Jesse Eisenberg (Bobby Dorfman), Kristen Stewart (Vonnie Sybil), Steve Carell (Phil Stern), Corey Stoll (Ben Dorfman), Blake Lively (Veronica Hayes), Parker Posey (Rad Taylor), Jeannie Berlin (Rose Dorfman), Ken Stott (Marty Dorfman), Anna Camp (Candy), Stephen Kunken (Leonard), Sari Lennick (Evelyn Dorfman).

PAESE: USA 2016
GENERE: Sentimentale
DURATA: 94′

Anni trenta. Stanco di lavorare nel laboratorio da gioielliere del padre, il giovane Bobby Dorfman lascia New York per raggiungere Hollywood in cerca di fortuna. Trovato un impiego presso lo zio materno, importante agente cinematografico, s’innamora ricambiato della di lui segretaria, senza sapere che la giovane ha una relazione clandestina proprio con lo zio che però non ha il coraggio di lasciare definitivamente la moglie…

Opera n° 46 di Allen, la prima girata in digitale. Nonostante l’ambientazione non è, soprattutto se paragonato ad altre sue opere sull’argomento, un film sul cinema. Non solo almeno. Si rivela piuttosto l’ennesima riflessione sull’amore e sui compromessi coi quali l’amore presto o tardi deve fare i conti, su quella condizione (vista spesso nel cinema alleniano, da Io e Annie in poi) di felicità zoppa che a tutti è capitato di provare almeno una volta nella vita. E alla fine, come rivela la magistrale sovrapposizione di inquadrature del finale, non resta che rifugiarsi nel sogno. Non è forse quello che facciamo ogni volta che andiamo al cinema? Bei personaggi, ottimi dialoghi, e una capacità magistrale di alternare commedia e tragedia senza mai perdere di vista il flusso del racconto. Memorabile prova della Stewart, finalmente diretta come merita. Eisenberg si rivela invece una scelta solo parzialmente azzeccata: finchè interpreta il suo solito personaggio (lo sfigato simpatico e impacciato) tutto funziona, ma quando gli si chiede di fare lo scafato e disinvolto gestore di night club diventa poco credibile. E così diventa poco appassionante anche la sua storia. Il personaggio di Bobby è sicuramente un ennesimo alter ego alleniano (almeno sotto alcuni aspetti), eppure la scelta di utilizzare una voce narrante esterna, quella dello stesso Allen, sembra voler rimarcare un certo distacco tra l’autore e il protagonista. Come sempre, ottima fotografia di Vittorio Storaro. Nulla di nuovo, forse, ma raccontato con la consueta grazia, intelligenza, acuto sarcasmo.

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