Quella sporca dozzina

(The Dirty Dozen)

Regia di Robert Aldrich

con Lee Marvin (maggiore Reisman), Charles Bronson (Wladislaw), John Cassavetes (Victor Franko), Jim Brown (Jefferson), Richard Jaeckel (sergente Bowren), Ernest Borgnine (generale Worden), George Kennedy (maggiore Ambruster), Robert Ryan (colonnello Bread), Telly Savalas (Maggott), Trini Lopez (Jimenez), Ralph Meeker (capitano Kinder), Donald Sutherland (Pinkley), Clint Walker (Posey), Robert Webber (generale Denton).

PAESE: USA, Gran Bretagna 1967
GENERE: Guerra
DURATA: 143′

1944, poco prima dello sbarco in Normandia. Un maggiore indisciplinato e inviso ai superiori è incaricato di addestrare 12 detenuti, ergastolani o condannati alla forca, per assaltare un castello francese controllato dai nazisti. La missione riesce, ma tornano in pochi.

17esimo film (e mezzo) di Aldrich, dal romanzo omonimo di E.M. Nathanson adattato da Nunnally Johnson e Lukas Heller. Pur elogiando l’eroismo e lo spirito di squadra, Aldrich irride la guerra con i suoi riti e le sue gerarchie, con una spiccata antipatia per gli ufficiali (di qualunque schieramento: quelli americani sono quasi più antipatici di quelli tedeschi) e un’evidente simpatia per i soldati semplici, in questo caso tutti sfigati o reietti. Il film trasuda sicuramente cameratismo e testosterone, e si prese anche qualche accusa di misoginia (per la scena con le prostitute), ma il suo potente sottotesto politico resta più attuale che mai: questi uomini ottengono una medaglia facendo la stessa cosa per cui, in patria, sono stati condannati a morte, ovvero uccidere. E infatti la riuscita della missione, con i nazisti sterminati insieme alle loro donne senza alcuna possibilità di difendersi, non ha davvero nulla di vittorioso. Siamo meglio del nostro nemico? A livello ideologico forse sì, ma i metodi usati, spesso, sono simili. Per capire da che parte stia Aldrich, se ce ne fosse bisogno, si pensi alla scena in cui Reisman (il personaggio che si fa portavoce delle idee del regista) appare davanti al ritratto di Roosevelt, uno dei presidenti più progressisti della storia americana.

Ritmo scanzonato (soprattutto nella prima parte), ironia, e la capacità di tratteggiare la psicologia dei personaggi con appena due o tre battute. O di trovare tenerezza e umanità in un ambiente (e in un genere cinematografico) in cui non dovrebbero esistere, come dimostra ad esempio la scena in cui il gigante Posey rivela di non saper leggere e di voler imparare. L’ultima parte si dilunga un pò troppo sposando molti cliché del war movie d’azione, ma i 20′ precedenti (dal lancio col paracadute all’inizio della battaglia) sono un saggio di pura suspense, e il film risulta avvincente dall’inizio alla fine. Grazie anche a una regia elegante e rigorosa che passa con disinvoltura dai momenti “leggeri” alle scene d’azione e viceversa. Memorabile galleria di attori tra i quali spiccano Marvin (nel ruolo che lui stesso considerava il migliore della sua carriera), Bronson, Cassavetes (candidato all’Oscar) e Savalas, quest’ultimo alle prese con uno psicopatico sessuofobo e fondamentalista che pare già un personaggio alla Tarantino (volete sapere dove nasce Bastardi senza gloria? Siete nel posto, pardon, nel film giusto). Piccolo ruolo per Sutherland che diventerà qualcuno. Ottime musiche del grande Frank De Vol. Immenso successo di pubblico e, a fronte di quattro nomination, un Oscar per i migliori effetti sonori. Un film che fece scuola.

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