Il villaggio di cartone

Regia di Ermanno Olmi

con Michael Lonsdale (il prete), Rutger Hauer (il sacrestano), Massimo De Francovich (il medico), Alessandro Haber (il graduato), Souleymane Sow (l’avverso), Fatima Romina Ali (la ragazza estremista), Dawit Ghebreab (il ragazzo intellettuale), Ibrahima Faye El Hadji (il soccorritore), Irma Pino Viney (Magdha).

PAESE: Italia 2011
GENERE: Drammatico
DURATA: 84′

Una chiesa viene dismessa alla presenza del vecchio parroco. Mentre fuori s’odono costantemente bombe, minacciosi elicotteri e sirene, un gruppo di immigrati irregolari s’intrufola per cercare riparo. Il prete li protegge, ma la delazione del sacrestano e le continue intromissioni di un vigilante li spingeranno a fuggire.

Quattro anni dopo aver dichiarato che Centochiodi (2007) sarebbe stato il suo ultimo film di fiction, Olmi torna sui suoi passi portando in scena una storia scritta in collaborazione con Claudio Magris e monsignor Gianfranco Ravasi. La metafora è chiara, necessaria: scordati i valori cristiani sui quali fu edificata, in primis quello dell’accoglienza, la chiesa rivive soltanto tendendo la mano verso gli ultimi per eccellenza di questi oscuri tempi nostri, ovvero i migranti. Persa nei suoi riti, sembra aver perso di vista la propria utilità, il proprio ruolo di aiuto pratico, come sottolinea la straordinaria sequenza in cui i migranti spostano l’acquasantiera (emblema del rito) per raccogliere la pioggia che cade da un buco nel tetto (l’aiuto reale, pratico, che migliora l’esistenza di chi vi ricorre). Con uno stile essenziale, lontano dagli stereotipi del cinema odierno, Olmi ha fatto uno film sussurrato e sincero, ambientato in un mondo in guerra che non ci viene mostrato (gli unici spazi che vediamo sono la chiesa e l’adiacente abitazione del parroco) ma del quale sentiamo in continuazione rumori per niente rassicuranti (temporali, bombe, elicotteri, sirene), evidentemente ipotetico (fantascientifico?) eppure perfettamente in linea con questa attualità crudele e colma di conflitti. Il racconto non è propriamente un racconto leggero o scorrevole, e alcuni personaggi potevano essere approfonditi meglio, ma il messaggio arriva potente. L’illuminazione di stampo teatrale (curata da Fabio Olmi, figlio del regista) può piacere o non piacere, ma rende bene l’idea di assistere ad una serie di «quadri» tipici di questi tempi nostri. Girato dentro il palazzetto dello sport di Bari, nel quale sono state ricostruite le due scenografie. Dedicato a Suso (Cecchi D’Amico) e Tullio (Pinelli). “Se non apriamo le nostre case, compresa la casa più intima, che è il nostro animo, siamo solo uomini di cartone” (Ermanno Olmi).

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