Frutto proibito

(The Major and the Minor)

Regia di Billy Wilder

con Ginger Rogers (Susan “Su-Su” Applegate), Ray Milland (maggiore Philip Kirby), Rita Johnson (Pamela Hill), Diana Lynn (Lucy Hill), Robert Benchley (Albert Osborne), Edward Fielding (colonnello Hill), Frankie Thomas (cadetto Clifford Osborne), Lela Rogers (signora Applegate), Norma Varden (signora Osborne).

PAESE: USA 1942
GENERE: Commedia
DURATA: 100′

Decisa a lasciare New York dopo l’ennesima avance di un cliente, la massaggiatrice Susan si reca in stazione per tornare al suo paese d’origine. Sprovvista della somma che occorre per pagare il biglietto, si finge 12enne per pagare ridotto. In treno attira l’attenzione dell’integerrimo maggiore Kirby, che si scopre attratto da lei ma ovviamente non può cedere al fascino di quella che crede un’ingenua ragazzina…

Prima commedia e primo film americano di Wilder, otto anni dopo aver co-diretto in Francia (mentre attendeva di espatriare negli Stati Uniti) il semi-dimenticato Amore che redime (1934, firmato con Alexander Esway). Nonostante la sceneggiatura (di Wilder con Charles Brackett) si affidi al canovaccio della screwball comedy alla Hawks/Capra/Cukor, ancora particolarmente in voga nei primi anni quaranta, vi fanno capolino molti dei temi cardine del cinema wilderiano a venire: la stupidità dell’uomo adulto che perde la dignità pur di giacere con una donna, il gioco del travestitismo, il discorso sull’identità sessuale repressa dalle convenzioni sociali, l’irrisione degli ambienti molto rigidi come quello militare. Forse manca di gag davvero memorabili e non possiede la cattiveria dei capolavori a venire, ma resta un frizzante, intelligente, e assolutamente audace (soprattutto per il messaggio “sessuale” che ne soggiace) divertissement, nel quale oltretutto è già perfettamente riconoscibile lo stile del regista austriaco. Ottima prova della Rogers, capace di rubare la scena a chiunque le reciti accanto. Il titolo originale è un gioco di parole tra maggiore (il grado militare di Kirby) e minore (ciò per cui Su-Su si spaccia), quello italiano cela un certo cattivo gusto.

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