Sto pensando di finirla qui

(I’m Thinking of Ending Things)

Regia di Charlie Kaufman

con Jessie Buckley (la giovane donna), Jesse Plemons (Jake), Toni Collette (Suzie), David Thewlis (Dean), Guy Boyd (il bidello).

PAESE: USA 2020
GENERE: Drammatico
DURATA: 134’

In viaggio col fidanzato verso la casa dei genitori di lui, mai incontrati, una giovane donna riflette sulla possibilità di troncare la relazione. Durante il tragitto accadono diversi strani eventi.

Terzo film di Kaufman, già apprezzato sceneggiatore (Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, Se mi lasci ti cancello), che adatta il romanzo omonimo di Iain Reid. Un viaggio onirico, allucinato e piuttosto criptico dentro una storia d’amore nata morta, un film pieno di scarti, visioni, eventi incomprensibili che dovrebbero essere la rappresentazione simbolica di qualcosa, forse dell’inarrestabile scorrere del tempo, forse semplicemente delle tante frustrazioni umane, generate dalle opere di auto-convincimento che facciamo su noi stessi. Kaufman sa sicuramente alternare i registri (si passa dalla commedia sentimentale al dramma esistenziale, dall’horror in stile Peele al musical), ed è onorevole l’intenzione di fare un cinema esperienziale, affidato più alle emozioni (anche negative) e agli stati d’animo piuttosto che ad una storia vera e propria; peccato che le due sequenze topiche e probabilmente più riuscite (il soggiorno a casa dei genitori, particolarmente inquietante, e il finale nella vecchia scuola con echi del musical) siano precedute da due interminabili, semi incomprensibili, auto-compiaciute scene di dialogo in automobile sotto la tempesta, insostenibili anche per lo spettatore più paziente e più abituato ad un certo tipo di cinema parlato e “da camera”. Insomma, la forma c’è (interessante anche la scelta di girarlo in formato 4:3, forse per accentuarne la dimensione teatrale), le capacità cinematografiche pure (le due scene suddette sono costruite in maniera davvero notevole), ma manca forse l’umiltà di accogliere, a livello di scrittura, lo spettatore: ci sta raccontare sè stessi e le proprie visioni attraverso un flusso ininterrotto di pensieri e parole, come del resto faceva il romanzo, ma scommettere tutto sulla percezione dello spettatore, senza mai davvero scendere ad un compromesso tra il proprio io e le aspettative di chi guarda, porta a un risultato abbastanza fine a sè stesso, senza dubbio freddino. Comunque ottime prove del quartetto di testa e interessante lavoro fotografico di Lukasz Zal. Prodotto e distribuito da Netflix.

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