Capitalism: a love story

(Capitalism: a Love Story)

Regia di Michael Moore

PAESE: USA 2009
GENERE: Documentario
DURATA: 120′

Passato inosservato rispetto ai precedenti Bowling a Columbine, Fahreneit 9/11 e Sicko, questo Capitalism: a love story né il seguito ideale: traccia il quadro di un’America impietosa e malata che si è rovinata con le proprie mani tentando di arricchirsi e di consolidare la propria posizione economica. Spiega come, grazie a Reagan, le lobby abbiano ereditato il paese per poi regalarlo alla banche; ci dice, in due ore scarse, quello che nessuno ci ha spiegato in tre anni, ovvero perché il mondo è stato travolto dalla crisi economica. E la risposta, giustamente, fa indignare: la colpa maggiore è del capitalismo sfrenato e dei suoi adepti, ossessionati dal rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Moore intervista la gente comune, attacca i potenti e non li teme. Limitando il suo protagonismo e accentuando la dose d’ironia beffarda (il parallelo tra gli USA e la Roma imperiale, il Gesù di Zeffirelli doppiato con frasi capitalistiche), riesce nell’intento di girare un importante documento di controinformazione che tenta di risvegliare il popolo. Non mancano indugi un po’ troppo insistiti sul dolore delle persone e demagogia spicciola, ma i difetti sono riscattati da una visione d’insieme che va ben oltre qualsiasi intento propagandistico. E il finale, da molti considerato propagandistico, è in realtà un disperato grido d’aiuto che genuinamente cavalca l’ottimismo e l’entusiasmo dell’elezione Obama.

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Nell’era del trionfo dei media, Moore sa di poter utilizzare qualunque cosa: e così mescola le sue riprese a vecchi filmati, pubblicità, fotografie, addirittura nastri di circuito chiuso. Gira documentari che documentari non sono – molte scene sono palesemente ricostruite – ma che attraverso il potere di un rozzo realismo cronachistico riescono a centrare gli obbiettivi che si propongono, che a volta esulano dal loro stesso status. Lo sguardo è palesemente “de sinistra”, ma il ragionamento è costruito su dati di fatto, non su congettura.  E il bello è che anche l’americano più puro è costretto ad ammettere che il socialismo tanto odiato, se attuato con cognizione di causa, è di gran lunga migliore del capitalismo. Emoziona, fa incazzare, indignare, ridere, piangere. Non è per questo che è nato il cinema, quello vero? In concorso a Venezia 2009, incredibilmente non vinse nulla. Le sequenze in cui il gigantesco giornalista va nelle banche a chiedere i soldi che le banche hanno rubato e quelle in cui cinta Wall Street col nastro da “scena del crimine” sono da antologia. Quelle delle compagnie che stipulano assicurazioni sulla vita dei dipendenti a loro insaputa (inserendo se stesse come uniche beneficiarie) sono agghiaccianti: il datore di lavoro spera che il dipendente muoia per arricchirsi. Belle musiche di Jeff Gibbs. Uno dei prodotti più agguerriti contro il capitalismo mai visti in USA. Forse il miglior film di Moore dai tempi di Bowling a Columbine, sicuramente il più indignato e divertente, disperato ma non privo di speranza.

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