Perfect Days

(Perfect Days)

Regia di Wim Wenders

con Kōji Yakusho (Hirayama), Tokio Emoto (Takashi), Arisa Nakano (Niko), Aoi Yamada (Aya), Yumi Asō (Keiko), Sayuri Ishikawa (Mama), Tomozaku Miura (Tomoyama), Masahiro Kômoto (proprietario del bar), Min Tanaka (il senzatetto).

PAESE: Giappone, Germania 2023
GENERE: Drammatico
DURATA: 124′

Hirayama è un mite uomo di mezza età che si occupa della pulizia dei bagni pubblici del quartiere di Shibuya (Tokyo), recentemente riqualificati. Conduce una vita semplice ed essenziale, fatta di piccole cose che sembrano renderlo sereno ed appagato. Ama prendersi cura delle piantine che “salva” per strada, scattare fotografie analogiche in bianco e nero, leggere libri, ascoltare, rigorosamente su musicassetta, il rock americano degli anni sessanta e settanta. La sua esistenza è scandita da diversi incontri che animano una routine (apparentemente) sempre identica.

Nel 2020 il comune di Shibuya chiese a Wenders di realizzare un documentario che raccontasse e promuovesse il progetto di riqualificazione urbana The Tokyo Toiletbasato sulla costruzione di bagni pubblici di alta qualità igienica e architettonica che favorissero la fruibilità degli spazi comuni del quartiere. Colpito dall’iniziativa e dal suo potenziale filosofico (e cinematografico), il regista tedesco ha deciso di raccontarla attraverso un film di finzione, scrivendo una sceneggiatura con Takuma Takasaki imperniata sulla figura più umile incontrata durante i sopralluoghi, ovvero il responsabile delle pulizie. Non chi ha ideato il progetto (l’imprenditore Kōji Yanai), non i grandi architetti nipponici che hanno progettato le toilet (tra i quali Sōsuke Fujimoto e Fumihiko Maki), ma colui che, nonostante venga identificato dalla società in cui vive come il gradino più basso della piramide gerarchica, si rivela importante almeno quanto gli altri, perché è attraverso l’amore e la dedizione che mette nel suo lavoro che rende quel progetto «reale». Il racconto sulla poesia del quotidiano e la gioia dell’incontro rimanda inevitabilmente al cinema di Ozu (prima di perfect day, l’ultimo film del regista girato nel paese del sol levante fu Tokyo-Ga, dedicato proprio al regista di Viaggio a Tokyo), ma Wenders gira un film perfettamente calato nell’attualità, auspicando un ritorno al passato che non è tanto esercizio nostalgico quanto tentativo di riscoprire l’essenza reale delle cose, come dimostra il fatto che ogni mattina Hirayama guardi il cielo (non uno smartphone, come facciamo tutti noi) e, indipendentemente dal meteo, sorrida. Anche perché passato e futuro, in fondo, contano poco: conta soltanto l’adesso. Ed è di questo che bisogna imparare a gioire. Non a caso il protagonista si sofferma spesso sulla luce che filtra, ogni giorno in maniera differente e dunque unica, tra le foglie degli alberi, un fenomeno che in giapponese prende il nome di komorebi e che indica anche uno stato d’animo, quello che spinge a trovare qualcosa che possa suscitare serenità anche nei momenti peggiori della vita.

La storia di Hirayama è una storia come tante altre, che racconta l’ordinaria straordinarietà dell’esistenza ed è fatta non di scene madri, ma di piccoli, irripetibili (e per questo ancora più struggenti) momenti. La macchina da presa sta sempre con lui, non lo abbandona mai, rivelando che il cinema per Wenders deve ancora sempre e comunque raccontare l’uomo e le sue azioni. E avere il coraggio di sfidare le mode del momento, prendendosi il tempo che serve e scegliendo strade ben poco commerciabili, come quella della lentezza, che non diventa mai prolissità nonostante qualcuno direbbe che nel film non capiti praticamente nulla. Una piccola, grande opera d’arte che spalanca il cuore. L’ultima inquadratura, oltre a ribadire ancora una volta il grandissimo talento attoriale di Yakusho (premiato a Cannes), è un pezzo di grande cinema che regala una grande emozione. Girato nel vetusto formato 4:3, a rimarcare l’idea di un necessario ritorno alla purezza (anche quella del cinema), ma anche a ribadire l’idea di una spazialità registica che mette sempre al centro la figura umana senza rinunciare allo sfondo (in questo caso fondamentale). Straordinaria colonna sonora, non solo per la scelta dei brani ma anche per come Wenders li rende ogni volta perfetti per il momento che stiamo guardando. Si sentono tra gli altri gli Animals, Patti Smith, i Rolling Stones, e ovviamente Lou Reed, sia coi Velvet Underground sia da solo (suo lo straordinario brano che dà il titolo al film e, in qualche modo, ne sottolinea lo spirito ottimista ma malinconico). Menzione speciale alla luminosa fotografia di Franz Lustig. Candidato ai premi Oscar come miglior film internazionale, ma battuto da La zona d’interesse. Da vedere.

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