La moglie di Frankenstein

(Bride of Frankenstein)

Regia di James Whale

con Boris Karloff (la creatura), Colin Clive (Henry Frankenstein), Ernest Thesiger (Dottor Pretorius), Valerie Hobson (Elizabeth Frankenstein), Elsa Lanchester (Mary Shelley/la moglie di Frankenstein), Gavin Gordon (Lord Byron), Douglas Walton (Percy Shelley), Una O’Connor (Minnie), E.E. Clive (borgomastro), O.P. Heggie (l’eremita).

PAESE: USA 1935
GENERE: Horror
DURATA: 75′

In una notte di temporale, la scrittrice Mary Shelley racconta al marito Percy Shelley e a Lord Byron un possibile seguito del suo celebre romanzo: sopravvissuta all’incendio del mulino, la creatura vaga per le campagne seminando il terrore, fino a quando un eremita cieco non la accoglie e la nutre nella sua casa. Intanto, l’ambizioso dottor Pretorius ricatta il barone Frankenstein affinché questi lo aiuti a riportare in vita una giovane donna, che nelle sue intenzioni dovrebbe diventare la sposa del mostro…

Sèguito dell’ottimo Frankenstein (1931), sempre diretto da Whale ma basato su un soggetto originale di Robert Florey e non direttamente sull’opera di Shelley (della quale però ovviamente tornano alcuni personaggi). Uno degli horror più affascinanti della storia del cinema, secondo molti superiore persino al capostipite: oltre a riprendere il discorso sull’uomo che sfida dio nel creare la vita, amplifica quello sull’odio che il mostro è spinto a provare verso se stesso (celebre la sequenza in cui cancella il proprio riflesso nell’acqua), pennellando così una riuscita metafora sulla paura del diverso e sulla sua ineluttabile solitudine. La folla è sempre più sadica, disumana e stupida, e il mostro ne è ancora vittima designata non tanto per i suoi crimini contro l’individuo quanto per la sua atipicità rispetto agli altri esseri umani: l’eremita cieco non lo teme perchè non lo vede, e dunque la colpa del mostro è unicamente quella di essere (anche fisicamente) diverso, non per forza cattivo. Un diverso destinato alla solitudine, ed è questo che lo rende un personaggio tragico, profondamente sfaccettato: nell’ultima scena, piuttosto che accettare di essere nuovamente solo, preferisce darsi la morte. La cornice, nella quale appare la stessa Mary Shelley intenta a inventare un seguito alla sua storia, è un colpo di genio che accresce la natura simbolica del narrato, che cessa di essere soltanto una storia e diventa l’enunciato “politico” di una scrittrice incredibilmente moderna, una delle antesignane del femminismo. Non a caso, come a rimarcare il rapporto tra chi racconta e chi è raccontato, la “moglie” del mostro è interpretata dalla stessa attrice.

Whale, con una macchina da presa mobilissima e un invidiabile senso dello spazio, concepisce immagini impeccabili nel loro struggente lirismo, dimostrandosi ancora una volta perfettamente a suo agio con gli effetti speciali del mago John P. Fulton (stupefacenti le “miniature” umane di Pretorius) e con una fotografia dal forte taglio espressionista (stavolta curata da John J. Mescall), capace di valorizzare alla perfezione le scenografie di Charles Hall e i trucchi prostetici di Jack Pierce. Primo film americano del grande compositore Franz Waxman. La sceneggiatura, attribuita a William Hurlbut e Edmund Pearson, passò in realtà attraverso moltissime revisioni. Straordinaria, doppia prova della Lanchester: la sua “sposa”, con lo sguardo allucinato e la chioma ritta e rigata di bianco, entrò nell’immaginario collettivo. Il generoso decollete che sfoggia nel prologo, invece, costò al film qualche noia con la censura. Karloff tonrnerà nei panni del mostro nel successivo Il figlio di Frankenstein (1939).

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