Fedora

(Fedora)

Regia di Billy Wilder

con William Holden (Barry Detweiler), Marthe Keller (Fedora), Hildegard Knef (contessa Sobryanski), José Ferrer (dottor Vando), Frances Sternhagen (Miss Balfour), Mario Adorf (il direttore dell’albergo), Stephen Collins (Barry da giovane), Henry Fonda (se stesso), Michael York (se stesso), Hans Jaray (conte Sobryanski), Gottfried John (Kritos, l’autista), Arlene Francis (annunciatrice).

PAESE: Francia, Germania Ovest 1978
GENERE: Giallo, drammatico
DURATA: 114′

La grande attrice polacca Fedora, ormai anziana e da tempo lontana dalle scene, si suicida gettandosi sotto un treno a Parigi. Il produttore americano Barry Detweiler, che l’aveva contattata per convincerla a fare un nuovo film con lui, cerca di comprendere il perchè del malsano gesto ripercorrendo le vicissitudini legate al loro incontro, a Corfù, poche settimane prima…

Penultimo film di Wilder, scritto col solito I.A.L. Diamond e tratto da un romanzo omonimo (1976) di Tom Tryon. Un’amara, dissacrante, disillusa parabola sul successo e sul mondo del cinema che ricorda da vicino quello che molti considerano il capolavoro di Wilder, Viale del tramonto (1950): per l’argomento trattato, per gli spunti di riflessione che porta avanti, per la struttura narrativa (si inizia con la scena di una morte, e tutto il film è un flashback a scatole cinesi che spiega come si è arrivati a quella morte), per la presenza dello stesso protagonista (un anziano e malandato Holden, che di lì a tre anni sarebbe deceduto in seguito a una caduta provocata dall’alcolismo), per il cocktail di generi che va dalla commedia al giallo, dal dramma al thriller a suspense. Girato in Europa con capitali europei (a quanto pare negli Stati Uniti nessuno voleva produrlo), è un film speculare in cui la seconda parte è la spiegazione di ciò che avviene nella prima, non sempre credibile eppure assolutamente realistico per ciò che racconta sul cinema e sugli uomini (e le donne) di cinema. Un vero e proprio film-testamento (molto più del successivo Buddy buddy, ultima pellicola del regista), lucido e coraggioso perchè densissimo di rimandi e particolari autobiografici non sempre gradevoli: proprio come Barry anche Wilder in quel periodo si ritrovava snobbato dalle major, che gli preferivano “giovani registi scalcinati che lavorano senza copione”, e proprio per Fedora dovette cercare finanziamenti esterni agli USA (nonostante fino a dieci anni prima qualunque produttore avrebbe fatto carte false pur di lavorare con lui). Un film imperfetto? Sicuramente, ma egualmente memorabile. Basterebbe una scena come quella in cui Antonia scrive disperatamente il proprio nome su una finestra umida, a voler ribadire la propria oramai irrintracciabile identità, per affermare che Wilder non smise mai di fare del grande cinema, nemmeno poco prima di ritirarsi. Una curiosità: lo stesso anno di Fedora uscì nelle sale L’ultimo Valzer di Scorsese, film concerto su The band che reca lo stesso titolo del film fittizio che Fedora interpretò con Michael York. Mitico cameo di Henry Fonda nei panni del presidente dell’Academy.

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