Mia madre

Regia di Nanni Moretti

con Margherita Buy (Margherita), John Turturro (Barry Huggins), Giulia Lazzarini (Ada), Nanni Moretti (Giovanni), Beatrice Mancini (Livia), Stefano Abbati (Federico), Anna Bellato (l’attrice), Lorenzo Gioielli (l’interprete), Enrico Ianniello (Vittorio), Toni Laudadio (il produttore), Tatiana Lepore (la segretaria di edizione), Pietro Ragusa (Bruno), Renato Scarpa (Luciano).

PAESE: Italia, Francia 2015
GENERE: Drammatico
DURATA: 106′

Impegnata a portare a termine un film ambientato in fabbrica e incentrato sullo scontro tra operai e nuova dirigenza, la regista Margherita si divide tra il set e l’ospedale in cui è ricoverata l’anziana madre, ancora lucida ma molto malata. Pur sostenuta dall’amorevole fratello maggiore Giovanni, Margherita si ritrova a vivere un periodo di profonda crisi esistenziale, amplificato dai sussulti adolescenziali della figlia Livia e dall’arrivo dell’indisponente attore americano Barry, che sembra mettercela tutta per rendere il clima sul set particolarmente teso…

Dodicesimo film di Moretti, scritto dal regista con Francesco Piccolo e Valia Santella. In una filmografia dalle forti tinte autobiografiche, Mia madre è probabilmente il film più autobiografico di tutti, e questo nonostante la scelta di affidare le proprie riflessioni – su cinema e vita – ad un alter-ego donna. Attraverso questa opera quieta e meditativa, minimalista eppure ricca di spunti, Moretti sembra voler elaborare la dolorosa perdita della madre Agata, avvenuta nel 2010, ma anche riflettere su quanto l’accettazione della morte di chi ci ha messo al mondo significhi in fondo accettare anche la nostra, rinunciando al narcisismo e al pensiero che il mondo giri intorno a noi (e che senza di noi non potrebbe andare avanti). Del resto, la stessa scelta di mettere al centro della storia la regista della Buy e di relegare sè stesso ad una particina importante ma marginale sembra sottolineare questa presa di coscienza, che oltretutto coincide con una maturità stilistica che punta all’essenziale e si tiene lontana dalle esagerazioni e dalle deformazioni grottesche del passato. Si può fare un film su degli stati d’animo? Moretti ci è riuscito affrontando il tema in punta di piedi e cercando la poesia nel quotidiano (La stanza del figlio, per varie ed ovvie ragioni, non è lontano), ma anche alternando con grazia registri  e versanti diversi (commedia e dramma, sogno e realtà) che ben esprimono il caos emotivo in cui si ritrovano i personaggi.

La trovata del film nel film non è nuova (il regista l’aveva già utilizzata in Sogni d’oro e Il caimano)ma stavolta esula dal parallelismo cinema/politica e finisce per essere lo strumento col quale interrogarsi sul potere del cinema di oggi, sulla possibilità che riesca ancora a raccontare la società coi suoi tumulti e i suoi cambiamenti. Per capire la grandezza del regista romano basterebbe citare lo straordinario stacco di montaggio tra Ada che prova il “vestito buono” da utilizzare per il suo funerale e la sua libreria vuota, coi libri a terra dentro le scatole, in vista di un imminente trasloco: un pezzo di grande, grandissimo cinema, sincero ed emozionante nella sua semplicità. Meravigliosa anche la battuta che chiude il film. Straordinario Turturro che recita quasi soltanto in italiano, ma è difficile dire chi sia il più bravo del quartetto di testa. Nel dubbio, due David se li sono aggiudicati la Buy (attrice protagonista) e la Lazzarini (non protagonista), quest’ultima classe 1934. Colonna sonora senza brani originali formata da otto pezzi strumentali del compositore estone Arvo Part, tre del musicista islandese Olafur Arnalds, Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen e Baby’s Coming Back to me di Jarvis Cocker. Presentato in concorso a Cannes.

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