Interiors

(Interiors)

Regia di Woody Allen

con Diane Keaton (Renata), Mary Beth Hurt (Joey), Geraldine Page (Eve), Richard Jordan (Frederick), E. G. Marshall (Arthur), Maureen Stapleton (Pearl), Sam Waterston (Mike), Kristin Griffith (Flyn).

PAESE: USA 1978
GENERE: Drammatico
DURATA: 88′

Arthur, avvocato di fama, e Eve, decoratrice d’interni, si separano – per volere di lui – dopo molti anni di matrimonio. La loro vita, così come quella delle tre figlie, sembra andare in frantumi: Eve tenta il suicidio e non riesce a sopportare che Arthur voglia risposarsi con un’altra donna; la primogenita Renata, poetessa, malsopporta le continue frustrazioni del compagno Frederick, aspirante scrittore; Joey, la secondogenita, continua a cambiare lavoro perchè perennemente insoddisfatta; Flyn, la minore, ha da tempo lasciato casa per sfondare nel mondo del cinema ma ottiene solo particine in produzioni minori. La sera del nuovo matrimonio di Arthur, che ha luogo nella casa al mare di famiglia, finisce in tragedia. Ma forse, nonostante il dolore, il rapporto tra le sorelle ne uscirà consolidato…

Ottavo film di Allen, il primo drammatico dopo sette commedie (o film comici) e il primo nel quale non compare come attore. Dichiaratamente ispirato al cinema del regista svedese Ingmar Bergman, da sempre citato da Allen come uno dei suoi punti di riferimento, è un sentito dramma da camera che si propone di indagare i meccanismi che regolano la vita – e gli stati d’animo – di una “normale” famiglia borghese, coi figli gelosi, irrequieti, disillusi e perennemente insoddisfatti e i genitori nevrotici, superficiali, poco lucidi. Critica e pubblico non perdonarono ad Allen una svolta così cupa e funerea (l’anno precedente era uscito Io e Annie), eppure Interiors rimane uno dei suoi film più anomali e radicali, nei temi come nello stile: manca totalmente qualsiasi commento musicale, la regia è così minimalista da tendere all’astrazione, mentre la fotografia di Gordon Willis sembra voler ricreare gli ambienti grigi e raffreddati del cinema nordico cui si ispira. Può darsi che i tanti riferimenti simbolici (il mare agitato e poi calmo, gli oggetti acquistati da Eve spostati o rotti, le finestre dalle quali i personaggi scrutano l’esterno) finiscano per cedere alla ridondanza, e la prima parte sembra avere qualche difficoltà ad ingranare la marcia giusta, ma basterebbe soffermarsi sugli ultimi 20′ per apprezzarne il pathos e il sincero dolore. Come Io e Annie, e in maniera perfino maggiore, è un film al femminile nel quale gli uomini o sono cattivi o superficiali. Non male per uno considerato (ancora oggi) un misogino. Due meritate nomination all’Oscar per la Page e la Stapleton (insieme a regia, sceneggiatura originale e scenografia a Mel Bourne). I costumi sono curati dal futuro regista Joel Schumacher. Può darsi che si tratti di un Allen minore, ma è comunque una tappa importante della sua filmografia.

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