Favolacce

Regia di Damiano e Fabio D’Innocenzo

con Elio Germano (Bruno Placido), Barbara Chichiarelli (Dalila Placido), Gabriel Montesi (Amelio Guerrini), Max Malatesta (Pietro Rosa), Ileana D’Ambra (Vilma Tommasi), Giulia Melillo (Viola Rosa), Lino Musella (professor Bernardini), Justin Korovkin (Geremia Guerrini), Tommaso di Cola (Dennis Placido), Giulietta Rebeggiani (Alessia Placido).

PAESE: Italia 2020
GENERE: Drammatico
DURATA: 98′

Le storie di tre famiglie con figli s’intrecciano tra le villette di un quartiere residenziale alla periferia di Roma. Agli adulti immaturi, nevrotici, scontenti, si contrappongono bambini sicuramente tristi ma più intelligenti e consapevoli, cui non resta che andarsene per salvarsi da cotanto orrore domestico…

Secondo film scritto e diretto dai giovani fratelli romani D’Innocenzo, classe 1988, uno dei primi in Italia a rinunciare all’uscita in sala (prevista per il 16 aprile) a causa della pandemia di Coronavirus, optando per la distribuzione sulle piattaforme di streaming (con TIMvision capofila). Dalle disastrate periferie raccontate in La terra dell’abbastanza (loro film d’esordio) e Dogman (il film di Garrone si basa su un loro soggetto) si passa alle villette residenziali della piccola borghesia romana, rifinite a tinte pastello, coi SUV e le piscine gonfiabili in giardino, apparentemente perfette, eppure dentro egualmente squallide, anche se è uno squallore celato sotto un’apparenza di rispettabilità e candore, prontamente smentita dagli eventi. In questa Twin Peaks coatta e senza speranza l’unica catarsi è nel fuggire, anche se fuggire da sè stessi – per timore di diventare, un giorno, come i propri genitori – può assumere contorni decisamente tragici. La cornice, con la voce del narratore (Max Tortora)  che avverte consolatoria di stare tranquilli, perchè in fondo si tratta soltanto di una favola, pardon, una favolaccia, fa da contrappunto ironico ad un materiale in realtà più vero del vero, che ci riguarda tutti più o meno da vicino. Insomma, possiamo anche cambiare canale e raccontarci che si tratta “soltanto” di un film, di una favola, ma non ci vuole un antropologo per accorgersi che in questa Italia di oggi gli orchi esistono eccome, che sono intorno a noi, spesso anche molto vicini. Così vicini che potremmo anche essere NOI. È ancora possibile salvarsi, viene da chiedersi? Difficile dirlo.

Forse l’unica è accontentarsi, vivere “al di fuori”, come fanno padre e figlio Guerrini (bravissimi sia Montesi che il piccolo Korovkin, già visto in The Nest), che non possiedono nulla tranne loro stessi, e hanno imparato a scambiarsi i ruoli per sopravvivere (quante volte Geremia guarda suo padre come se fosse lui il padre? Quante volte lo sopporta/supporta senza chiedere nulla in cambio?). La regia dei due fratelli ha il merito di mostrare piuttosto che dimostrare, finendò così per concepire un quadro tanto metafisico quanto amaramente ancorato al presente. E nel quale bastano pochi dialoghi, poche studiatissime inquadrature, pochi gesti, anche microscopici, per raccontare i personaggi, gli adulti nel loro squallore (emblematico lo scambio di battute tra i due capifamiglia in merito a una conoscente che si veste in maniera sensuale) e i bambini nella loro non capita tenerezza (le continue domande che Dennis fa alla vicina in merito alla figlia). Eppure non ci sono veri colpevoli, veri cattivi, ma soltanto perdenti schiacciati da una società che, dal berlusconismo in poi, ci ha insegnato che nella vita si può essere soltanto vincenti. E a farne le spese, alla fine di tutto, non possono che essere i bambini, alle prese con un futuro che non preannuncia nulla di buono. Il finale attribuisce loro una visione d’insieme un pò troppo “adulta”, ma è un peccato veniale su cui si può sorvolare, anche perchè non guasta minimamente il senso del film. Anzi. Un consiglio? Guardatelo con attenzione, dormiteci e rifletteteci sopra, e solo dopo giudicatelo. È un film che va fatto decantare. Grandissima prova di Germano, ma i giovanissimi che ha attorno non gli sono da meno. Ottima fotografia di Paolo Carnera e azzeccato nel suo esasperato simbolismo il commento musicale degli Sparkle in Grey. Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura a Berlino 2020. Film terribile, volutamente sgradevole e crudele, complesso, non per tutti. Ma è un grande film.

 

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