Everything Everywhere All at Once

(Everything Everywhere All at Once)

Regia di Daniels [Daniel Kwan, Daniel Scheinert]

con Michelle Yeoh (Evelyn Quan Wang), Stephanie Hsu (Joy Wang), Ke Huy Quan (Waymond Wang), James Hong (Gong Gong), Jamie Lee Curtis (Deirdre Beaubeirdre), Tallie Medel (Becky Sregor), Jenny Slate (Debbie), Harry Shum Jr. (Chad), Biff Wiff (Rick).

PAESE: USA 2022
GENERE: Fantastico
DURATA: 140′

Col mite marito Waymond, la cinese Evelyn è proprietaria di una lavanderia negli Stati Uniti. Inguaiata con l’agenzia delle entrate, in crisi col marito e con la figlia adolescente Joy, scopre l’esistenza di altri infiniti universi e si ritrova catapultata in un’incredibile avventura, affiancata da una “copia” di Waymond e osteggiata proprio da una copia di Joy…

Prodotto dai fratelli Russo (responsabili del dittico superomistico Marvel Avengers: Infinity War/Avengers: Endgame), è il secondo film scritto e diretto dal duo dei Daniels (Dan Kwan e Daniel Scheinert) dopo lo strambo Swiss Army Mandel 2016. Anche qui l’idea di partenza è abbastanza anomala: rielaborando in maniera estremamente personale la teoria dei multiversi tanto di moda nei blockbuster odierni (e sdoganata proprio dalla Marvel con Spider-Man: No Way Home, del 2021), il film riflette sui se e sui ma delle vite di tutti noi, spesso impegnati a chiederci “cosa sarebbe successo se” dimenticandoci di vivere il presente, che è poi di fatto l’unica cosa che conta. La prima ora va come un treno, e una volta capita l’idea di partenza (non semplicissima, o quanto meno non propriamente immediata) si può godere di trovate a dir poco geniali (come quella degli hot dog al posto delle dita: vedere per credere); peccato però che a un certo punto il film scivoli nella ridondanza, nell’accumulo, diventando frastornante e non così originale, soprattutto nella ripetizione estenuante delle scene d’azione in stile Matrix (poco importa se condite da particolari bizzarri: stufano lo stesso) e nel rivelare la propria natura di ennesimo melodramma familista made in Hollywood.

E che dire del finale? Il film “inizia a finire” a cinquanta minuti dai titoli di coda, amplificando quella sensazione di “troppa carne al fuoco” che si respira per gran parte della seconda parte. Contributi tecnici comunque ineccepibili, dalle notevoli prove attoriali – l’ottima Yeoh, il ritrovato Quan (ex attore bambino in Indiana Jones e nei Goonies) e un’impagabile Curtis presa in controparte) – al frizzante montaggio di Paul Rogers, passando dalle funzionali musiche di Son Lux. Un film sbilanciato, non risolto, che, proprio come le vite dei protagonisti, “poteva essere, ma non è”. Nonostante questo, valanga di premi in tutto il mondo, tra i quali ben sette Oscar (su 11 nomination): film, registi, sceneggiatura originale, attrice a Yeoh, attore non protagonista a Quan, attrice non protagonista a Curtis, montaggio a Paul Rogers. Uno dei film considerati indipendenti (produce la “piccola” A24) di miglior successo del post-pandemia.

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