Fuga da Los Angeles

(Escape from Los Angeles)

Regia di John Carpenter

con Kurt Russell (“Jena” Plissken), A. J. Langer (Utopia), Steve Buscemi (Eddie “Mappa delle Stelle”), Georges Corraface (Cuervo Jones), Valeria Golino (Taslima), Peter Fonda (Pipeline), Michelle Forbes (Brazen), Pam Grier (Hershe), Bruce Campbell (Chirurgo), Cliff Robertson (Il presidente), Stacy Keach (comandante Malloy).

PAESE: USA 1996
GENERE: Fantascienza
DURATA: 97 Min.

Quindici anni dopo l’avventura newyorkese, “Jena” Plissken è spedito a Los Angeles, trasformata in carcere dopo un terremoto devastante che l’ha separata dal continente. Questa volta deve rintracciare Utopia, figlia ribelle del presidente degli States innamorata del bandito Cuervo Jones, sosia di “Che” Guevara e ras della città…

Spinto da Kurt Russell, Carpenter gira il seguito di uno dei suoi film più apprezzati, 1997: Fuga da New York. Più che di un secondo capitolo, si tratta di un remake: il regista americano riprende il personaggio e la storia presentati nel primo film ma, all’alba di un nuovo incerto millennio, li carica di nuove riflessioni socio- politiche destinate a sfociare in un ancor più terribile pessimismo. Rispetto al capostipite Carpenter accentua i toni grotteschi e da fumetto, rinuncia a qualsiasi verosimiglianza ed evita di prendersi sul serio. Senza rinunciare alle riflessioni tipiche del suo cinema: il fervore umano non è più parte del mondo, e soltanto nei reietti, nei perdenti, nei cosiddetti rifiuti umani – come Jena e chi lo aiuta – si può trovare ancora un briciolo di umanità. Carpenter ne ha per tutti: potere politico (il presidente non ha problemi ad uccidere la figlia), Chiesa (Taslima è incarcerata perché musulmana), esercito (che prima spara e poi chiede chi è). La sequenza ambientata ad Hollywood, in cui un folle chirurgo (interpretato da Bruce Campell!) fornisce pezzi di ricambio ai “maniaci del silicone”, è uno dei pezzi più politici del cinema carpenteriano: la fabbrica dei sogni si è trasformata, previa intossicazione consumistica, in uno specchio deformato dell’abominio della società occidentale. Qualche critico scrisse che Carpenter era diventato di destra prendendo per i fondelli Che Guevara (Cuervo Jones ne è un sosia cattivo), senza accorgersi che il film non attacca il personaggio, quanto la spettacolarizzazione che si fa di esso quando la sua immagine diventa merce: non per nulla gli sgherri di Cuervo indossano magliette con la sua faccia. E che dire della sequenza della partita a basket forzata cui deve sottoporsi Snake? In quella scena ci sono tutte le contraddizioni della società USA.

Il finale, in cui Jena usa il telecomando che “spegne” il mondo – annullando ogni progresso tecnologico e riportandoci dunque indietro di parecchi secoli – racconta molto bene l’ideologia dell’autore: non ci sono modi per guarire la società, l’unica è annullarla e farla ripartire da zero. Gli effetti speciali milionari, che abusano della nascente computer grafica, risultarono “vecchi” appena qualche mese dopo l’uscita del film: poco male, la loro natura posticcia e involontariamente ridicola è in linea con lo spirito del film, basato su una feroce critica alle apparenze e alle aberrazioni della tecnologia. Non ha un grammo della malinconica poesia del precedente, e qualche volta è pure un po’ noioso (anche perché già visto), ma è innegabile che sia divertente, fascinoso, e che il suo sottotesto politico non sia affatto banale. Molti critici, come il nostro Enrico Ghezzi, lo preferirono addirittura all’originale. Un film che si ama o si odia, ma nessuno potrà dire a Carpenter che il suo è un semplice remake senza idee. Come sempre, perfettamente rispettate le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. E, come sempre, interamente girato di notte.
I fan del regista non potranno farne a meno.

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