Il miglio verde

(The green mile)

Regia di Frank Darabont

con Tom Hanks (Paul Edgecomb), David Morse (“Brutus” Howell), Michael Clarke Duncan (John Coffee), James Cromwell (Hal Moores), Barry Pepper (Dean Stanton), Jeffrey DeMunn (Harry Terwiliger), Gary Sinise (Burt Hammersmith), Bonnie Hunt (Jan), Sam Rockwell (William Wharton), Patricia Clarkson (Melinda), Doug Hutchison (Percy Wetmore), Michael Jeter (Edward Delacroix), Harry Dean Stanton (Toot Toot), Graham Greene II (Arlen Bitterbuck), Eve Brent (Elaine), Dabbs Greer (Paul Edgecomb anziano), William Sadler (Klaus Detterick), Scotty Leavenworth (Figlio di Hammersmith).

PAESE: USA 1999
GENERE: Drammatico
DURATA: 192′

1935, penitenziario di Cold Mountain. Nel braccio della morte – soprannominato “miglio verde” per il suo pavimenti in linoleum verdino – il secondino Paul e la sua squadra devono gestire il gigantesco John Coffee, omone di colore condannato dell’omicidio di due bambine. Presto si accorgono che l’uomo possiede poteri messianici e ne scoprono un indole buona e generosa, lontana anni luce dalla figura dell’omicida con cui è tratteggiato. A raccontare la storia è proprio Edgecomb, che in una casa di riposo confessa ad un’amica di avere appena compiuto 108 anni…

Secondo film carcerario di Darabont dopo Le ali della libertà, anch’esso tratto da Stephen King. È un dramma ben raccontato che parte come una riflessione sulla pena di morte, si trasforma in una metafora della società americana perbenista e razzista e si conclude in odor di spiritualismo con un sacrifico che sfocia nel cristologico. È un film anomalo perché possiede in sé tutti gli stereotipi del genere carcerario e allo stesso li contagia con elementi paranormali del tutto sconosciuti nel genere stesso. Pur essendo Paul il protagonista, è un film corale, “popolato”, che dà verso l’epica perché parla della storia di una comunità (anche se ristretta) che raccoglie tutti i dubbi e le perplessità che gli uomini “giusti” manifestano dinnanzi alla società USA. E la sedia elettrica diventa il simbolo di una violenza istituzionale che il popolo delega ai secondini per sentirsi più al sicuro. Morandini ne riscontra il limite nel suo non saper scegliere dove andare a parare per quanto riguarda il paranormale, senza forse accorgersi che sono diverse le chiavi di lettura possibili: è un film cristiano, certo, basti pensare al fatto che John Coffee – che possiede nel nome le iniziali del Salvatore, Jesus Christ – è un messia buono che il mondo ha “travisato” e punito ingiustamente con la morte, caricandolo dei peccati di tutti gli uomini. Ma è anche un film laico, in cui il condannato è l’emblema di ciò che la civiltà detesta perché troppo “perfetto” (e quindi forse, allo stesso modo, “divino”?). Ottima la squadra degli attori, ben costruita la sceneggiatura e interessante la regia, classica ma abile nell’impilare sequenze di rara efficacia suggestiva, quasi lirica. E l’umanesimo di Darabont mette gli uomini e le loro scelte al centro delle stanze, dei paesaggi, della storia stessa, evidenziandone sia visivamente che tematicamente le unicità e le peculiarità. Visivamente molto bello, non annoia nonostante la durata smisurata. La scena in cui Coffee, prima di essere giustiziato, guarda il suo primo ed unico film – Cappello a Cilindro – è una delle più belle e commoventi che il cinema hollywoodiano abbia mia saputo creare.

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