Wild Bill

(Wild Bill)locandina

Regia di Walter Hill

con Jeff Bridges (Wild Bill Hickok), Ellen Barkin (Calamity Jane), John Hurt (Charley Prince), Diane Lane (Susannah Moore), Keith Carradine (Buffalo Bill), David Arquette (Jack McCall), Christina Applegate (Lurline), Bruce Dern (Will Plummer), James Gammon (California Joe), James Remar (Donnie Lonegan).

PAESE: USA 1995
GENERE: Western
DURATA: 98’

Al funerale del leggendario pistolero Wild Bill Hickok, l’amico Charley Prince ne racconta le gesta: prima uomo di legge, poi “attore” dello spettacolo di Buffalo Bill, infine nuovamente sceriffo quando, per un torto di cuore, viene freddato alle spalle dal giovane Jack McCall…

Terzo western di Hill, appena due anni dopo l’ottimo Geronimo (1993). Ispirandosi al libro Deadwood di Pete Dexter e al dramma Father and Sons di Thomas Babe, Hill, anche sceneggiatore, tenta di dipingere un ritratto anomalo dell’eroe evidenziandone le psicologie e osservandone criticamente il rapido passaggio da uomo a leggenda. Ma la scelta – inspiegabile – di concentrarsi quasi esclusivamente sul rapporto (vero o presunto) tra Hickok e il suo futuro assassino, tralasciando periodi importanti e assai significativi della vita del pistolero (l’infanzia in una famiglia progressista e antischiavista, la gioventù come avventuriero, l’arruolamento nella guerra civile, il tour con il Buffalo Bill Wild West Show), finisce per rivelarsi terribilmente azzardata. Alle prese con uno dei pochi eroi del West davvero leggendari, Hill lo fa diventare un cowboy come tanti altri. Va bene il crepuscolo del mito, ma a forza di togliere svanisce l’interesse. Frammentario, troppo aneddotico, sbilanciato, è un film vacuo e veloce, poco incisivo nonostante un’interpretazione – quella di Bridges, identico al vero Wild Bill – davvero sorprendente. Fuori parte invece la Barkin, anche se va detto che il suo personaggio è scritto coi piedi. In un discorso sull’antispettacolarità del west e la falsità del mito ci potrebbe anche stare la rinuncia all’epica (solitamente, cifra stilistica prediletta di Hill), ma qui mancano anche le belle immagini, e non bastano tre diversi modi di girare, rispecchianti tre dimensioni temporali (presente/seppia, passato/colori, tempo del sogno/bn iper contrastato con angolazioni sghembe) per fare del cinema d’autore di qualità. Nella brillante carriera di Hill, un mezzo passo falso. “Western terminale, senz’anima, alla deriva” (Morandini). Talmente freddo e distaccato da risultare alla fine privo di interesse. Flop in patria, da noi giunto solo in VHS.

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