Vizio di forma

(Inherent Vice)Inherent-Vice1

Regia di Paul Thomas Anderson

con Joaquin Phoenix (Larry “Doc” Sportello), Josh Brolin (Christian “Bigfoot” Bjornsen), Owen Wilson (Coy Harlingen), Katherine Waterston (Shasta Fay Hepworth), Reese Whiterspoon (Penny Kimball), Benicio Del Toro (Sauncho Smilax), Martin Short (Rudy Blatnoyd), Jena Malone (Hope Harlingen), Joanna Newsom (Sortilege), Eric Roberts (Mickey Wolfmann).

PAESE: USA 2014
GENERE: Noir
DURATA: 148′

Los Angeles, 1970. L’hippy suonato e investigatore privato Doc Sportello è avvicinato dalla sua ex mai dimenticata Shasta Fey, che lo mette sulle tracce di un palazzinaro suo amante che potrebbe fare una brutta fine. Tra bikers nazisti e massaggiatrici orientali, sassofonisti in crisi esistenziale e dentisti cocainomani, Doc scoprirà che nulla è come sembra…

Settimo film del talentuoso Anderson, che ha scelto di portare sullo schermo lo stralunato – e per alcuni infilmabile – romanzo (2009) di Thomas Pynchon. La struttura del noir classico anni ’40 (quello di Hawks, Huston, Wilder) scaraventata nella California degli anni ’70: e così, al posto dei gangster ci sono i palazzinari e al posto di un investigatore duro e puro alla Bogey ce n’è uno strafattone e pavido che passa il suo tempo a strafarsi d’erba. Ne è uscito un film pessimista che racconta con occhio clinico lo spaesamento di quella generazione che, finiti i ’60, si ritrovò con niente in mano. Una generazione che tentò la rivoluzione ATTRAVERSO la droga e si ritrovò, una volta calato l’interesse e ristabilite le gerarchie del potere, con SOLTANTO la droga. Insomma, Paura e Delirio in California (c’è pure Del Toro che rifà il suo Dottor Gonzo in chiave sobria). Più della trama, a dir la verità inestricabile come poche, conta la galleria dei personaggi (tutti talmente strambi che, alla fine, il più normale è proprio Sportello), l’impagabile assurdità di molte situazioni, la riflessione su un’America da incubo (che, va ricordato, nel ’70 era ancora in Vietnam). La regia di Anderson si conferma originale e funzionale, e la scelta di girare con una grana grezza (quella del cinema degli anni ’70) gli fa onore. Peccato che, come accadeva già in altri suoi film (ad esempio nel precedente The Master), si arrivi ad un punto verso metà film in cui l’interesse scema e la pellicola sembra girare su se stessa. Non siamo i soli a pensare che Anderson sia migliore come regista che come sceneggiatore: non perché gli manchino le idee, anzi, bensì perché a volte i suoi film sembrano sorvolare sul flusso del racconto, rischiando così di diventare, molto banalmente, noiosi. Qualche giovane critico dirà che questo è un modo rivoluzionario di ribaltare i climax spingendoli sotto le righe; può darsi, ma anche quando si sperimenta si deve stare attenti a non lasciarsi fuggire l’attenzione di chi guarda. Su tutto il resto, nulla da dire: musiche, fotografia, montaggio, attori (grande Phoenix) sono semplicemente perfetti. Un cinema bello da vedere ma che non sempre convince.

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