True Detective – Stagione 3

(True Detective)

Regia di Jeremy Saulnier (1, 2, 6, 7, 8), Daniel Sackheim (3), Nic Pizzolatto (4, 5)

con Mahershala Ali (Wayne Hays), Carmen Ejogo (Amelia Reardon), Stephen Dorff (Roland West), Scoot McNairy (Tom Purcell), Ray Fisher (Henry Hays), Sarah Gadon (Elisa Montgomery), Brett Cullen (Gerald Kindt), Mamie Gummer (Lucy Purcell), Michael Greyeyes (Brett Woodard), Scott Shepherd (Harris James), Michael Rooker (Edward Hoyt).

PAESE: USA 2019
GENERE: Giallo
DURATA: 60′ (episodio)

Un’indagine lunga trentacinque anni attorno a un fatto che sconvolse una sonnacchiosa cittadina dell’Arkansas. Tre linee narrative si intersecano: 1980, quando due fratellini di 10 e 12 anni svaniscono nel nulla e sulle loro tracce si mettono i detective Hays, nero, e West, bianco; 1990, quando il caso viene riaperto in seguito a un fatto inatteso e Hays e West diventano membri di una task force istituita per risolverlo; 2015, quando Hays, oramai anziano e malato di Alzheimer, racconta a una giovane regista i suoi ricordi in merito al caso.

Dopo una prima stagione apprezzata da tutti e una seconda stagione apprezzata quasi da nessuno (a tal punto che HBO pensò seriamente di cancellare la serie), Pizzolatto torna agli antichi fasti con una terza stagione all’altezza della prima. Si torna alla provincia (apparentemente) sonnacchiosa che genera mostri (nella prima eravamo in Louisiana, qui si passa all’Arkansas, ma il male sembra germogliare nello stesso modo), si torna a una coppia di investigatori decisamente affascinanti, si torna a una struttura a tre linee narrative che si intersecano in maniera fascinosa. Si torna, in maniera più attuale che mai, a riflettere su temi caldi come la paura del diverso, il bigottismo della società USA, l’intrallazzo politico (sia nel delitto che nelle indagini) come motore degli eventi umani. Personaggi leggermente stereotipati ma credibili, atmosfere perfette che trasudano disagio e inquietudine, dialoghi straordinari e un finale magnifico, dolente, perfetto nel raccontare quanto trovare qualcun altro diventi ossessione soprattutto per chi non è in grado di trovare sé stesso. E che dire dell’ultimissima inquadratura? Pelle d’oca. Le meravigliose immagini dell’opening sono accompagnate stavolta dalla canzone Death Letter di Cassandra Wilson. Con la seconda stagione Pizzolatto aveva voluto sperimentare a tutti i costi, con la terza è tornato alla classicità (si fa per dire) dell’esordio e, con una storia maggiormente nelle sue corde, ha centrato il bersaglio. Grandissimo Mahershala Ali – che poco dopo la trasmissione della serie ha vinto il suo secondo premio Oscar per Green Bookma grandissimi anche i comprimari, tra i quali spicca un rinato Dorff. Nonostante tre registi diversi (tra i quali anche lo stesso Pizzolatto), gli otto episodi conservano un file rouge stilistico di alto livello. Imperdibile.

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