The Irishman

(The Irishman)

Regia di Martin Scorsese

con Robert De Niro (Frank Sheeran), Al Pacino (Jimmy Hoffa), Joe Pesci (Russell Bufalino), Harvey Keitel (Angelo Bruno), Ray Romano (Bill Bufalino), Anna Paquin (Peggy Sheeran), Bobby Cannavale (Felix DiTullio), Stephen Graham (Tony Provenzano), Stephanie Kurtzuba (Irene Sheeran), Jesse Plemons (Chuck O’Brien), Kathrine Narducci (Carrie Bufalino), Welker White (Jo Hoffa), Domenick Lombardozzi (Anthony Salerno), Sebastian Maniscalco (Crazy Joe Gallo), Steven Van Zandt (Jerry Vale), Paul Herman (Whispers).

PAESE: USA 2019
GENERE: Gangster
DURATA: 209′

L’anziano e malandato Frank Sheeran racconta la sua vita da sicario e factotum della mafia italoamericana. Braccio destro e consigliere del potente boss Russell Bufalino, divenne guardia del corpo e amico personale del sindacalista Jimmy Hoffa, fino alla misteriosa sparizione di quest’ultimo nel 1975…

Tratto dal saggio L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (I Heard You Paint Houses, 2004) di Charles Brandt, adattato per lo schermo da Steven Zaillian (premio Oscar per Schindler’s List), è un film unico, enorme e potente, e non soltanto per l’immane sforzo produttivo (budget lievitato da 100 a 140 milioni di dollari), per l’incredibile cast (i tre mostri sacri sono insieme per la prima volta) o per la durata spropositata (tre ore e mezza, venti minuti meno di C’era una volta in America). Era il film di Scorsese che tutti noi, fan di Scorsese, aspettavamo da tanto tempo, un’elegia struggente e perfetta di un modo sempre più raro di concepire – e vivere – la settima arte. Un film che contiene tutti i film di Scorsese, ma più in generale tutti i grandi film della New Hollywood. Parla di colpa, tradimento, redenzione; è la struggente storia di un’amicizia; è il ripasso, puntuale e mai accomodante o fazioso, di mezzo secolo di storia americana; è un’analisi clinica sul rapporto tra mafia e politica. A 76 anni (e con all’attivo una filmografia che non necessita di presentazioni) Scorsese potrebbe vivere tranquillamente di rendita, e invece questo The Irishman è uno dei suoi film più innovativi e personali. Innanzitutto reinventa due dei suoi attori-simbolo in maniera per nulla scontata: De Niro passa da boss demiurgo a piccolo operaio del crimine, Pesci abbandona i panni del piccolo operaio del crimine, folle e sfacciato (“buffo come, come un pagliaccio?”) e diventa lui il vero boss, stavolta però razionale e gentile, quieto e sotto le righe.

Per andare sul sicuro, sarebbe stato più facile fare interpretare a De Niro un nuovo Jimmy Conway e a Pesci un nuovo Tommy De Vito (i loro personaggi in Goodfellas): ma andare sul sicuro, evitare il rischio, si sa, non è qualcosa che fanno i grandi, nè i grandi registi nè i grandi attori (e infatti entrambi dipingono una performance semplicemente memorabile). Poi inserisce un personaggio anomalo, in un certo senso “nuovo” per il suo cinema, quello della figlia “ribelle” di Frank, Peggy: per la prima volta il fulcro di una storia scorsesiana è un personaggio femminile, giovane e apparentemente secondario, in realtà portatore di uno sguardo morale che ben rappresenta lo sguardo morale di Scorsese (sguardo che, per anni, gli è stato rimproverato di non avere). Infine, ripensa in maniera critica la rappresentazione della violenza (sempre più asciutta, veloce, mai catartica) e opta per un finale spoglio, silenzioso, ben diverso da quelli pirotecnici di Quei bravi ragazzi e Casinò, veri e propri climax dei film d’appartenenza. Nell’ultima, magnifica inquadratura, ci piace pensare che Frank (che chiede al parroco di lasciare la porta leggermente aperta) sia in realtà lo stesso Scorsese, che ci chiede di non chiudere definitivamente la porta sul suo lavoro, su un tipo di cinema che sembra scomparire e di cui The Irishman potrebbe essere il canto del cigno. Certo, noi tutti speriamo che non si tratti di un film testamento, ma è difficile pensare che Scorsese possa rifare un’opera di questa portata (per sforzo produttivo, cast, tematiche). Onore dunque a Netflix, sia per aver creduto in un progetto così ambizioso sia per averlo portato a termine nonostante ritardi e sforamenti (40 milioni di dollari e sei mesi in più di quanto preventivato a causa delle difficoltà col ringiovanimento digitale degli attori). E, ovviamente, per avergli concesso una fugace apparizione in sala, in cui è stato fruito in tutta la sua grandezza, anche “fisica”.

Per molte ragioni è un film che va visto in lingua originale: per assaporare la bravura degli attori (straordinari: il terzetto di testa ha saputo fare qualcosa di meraviglioso), per il divertente modo di parlare di Joe Pesci che mescola inglese, italiano e siciliano, per il fatto che Pesci e De Niro parlino a volte in italiano (Bufalino perché siciliano, Sheeran perché ha combattuto in Italia). Fotografia soffusa, policroma e incredibilmente espressiva del grande Rodrigo Prieto, montaggio prezioso di Thelma Schoonmaker, effetti speciali notevolissimi dell’Industrial Light and Magic. Proprio su questi ultimi – e in particolare sul ringiovanimento digitale degli attori – i cosiddetti “puristi” hanno mosso parecchie critiche: Scorsese si è difeso sostenendo che il ringiovanimento/invecchiamento digitale è migliore del make-up perché non nasconde le espressioni dei volti, e in effetti se l’alternativa era o esagerare col trucco oppure cambiare gli attori a seconda dei diversi piani temporali (ben quattro) non si può che dargli ragione. La sua è una scelta tecnica che farà strada. Una provocazione: nel 1986 di C’era una volta in America il grande attore aveva quarant’anni e tramite i trucchi lo si invecchiava, nel 2019 di The Irishman il grande attore ne ha più di 70 e lo si ringiovanisce digitalmente. Il fatto che l’attore sia lo stesso suggerisce che di Robert De Niro non ne nascono più? O è semplicemente naturale che il film-testamento di Scorsese sia affidato al SUO attore per eccellenza? Un film gigante, elefantiaco, assoluto. Lunghissimo, ma senza una scena o una inquadratura di troppo. Imperdibile per chi ama Scorsese, imperdibile per chi ama il cinema. Subito dopo la visione correte a recuperare il delizioso speciale di 23′ in cui i quattro protagonisti del film (Scorsese, De Niro, Pacino, Pesci) chiacchierano intorno al tavolino di un bar. Dieci nomination ai premi Oscar ma, nell’anno dei trionfi di Joker Parasitenemmeno una statuetta.

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