Suburbicon

(Suburbicon)

Regia di George Clooney

con Matt Damon (Gardner Lodge), Julianne Moore (Rose/Margaret), Oscar Isaac (Bud Cooper), Noah Jupe (Nicky Lodge), Glenn Fleshler (Ira Sloan), Alex Hassell (Louis), Gary Basaraba (zio Mitch), Jack Conley (capitano Hightower), Megan Ferguson (June).

PAESE: USA, Gran Bretagna 2017
GENERE: Noir
DURATA: 105′

1959. Nella città-modello di Suburbicon si trasferisce, accompagnata dallo sdegno di molti abitanti, la prima famiglia di colore. Nella casa accanto, abitata dalla famiglia Lodge, avviene una terribile tragedia: alcuni malviventi uccidono la povera Rose, già su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente d’auto. Si pensa ad una rapina finita male, ma ben presto il piccolo Nicky, figlio di Rose, scopre una terribile verità…

Clooney e il fido Grant Heslov adattatano una vecchia sceneggiatura di Joel e Ethan Coen scritta subito dopo il loro esordio Blood Simple – Sangue Facile (1986). Molti i temi che riportano a quel film e al cinema dei Coen in generale: la banalità/stupidità del male, l’imbecillità del crimine (che non paga, ma uccide), l’avidità umana, il destino beffardo, il delitto che genera una spirale incontrollata di violenza. Cui s’aggiunge, più attuale che mai, quello del razzismo: i tranquilli, perfettissimi abitanti di Suburbicon si scagliano contro la famiglia di colore senza accorgersi che il male è nella casa accanto, nel salotto di chi è in tutto e per tutto (anche nel colore della pelle) identico a loro. Ed ecco che, dal 1959 del film, non è difficile ritrovarsi nell’America di oggi che addita gli stranieri come nemici e rifiuta di vedere il nemico che ha in casa e essa stessa ha contribuito a creare. Clooney, regista di trasparente classicità, parte in commedia (nerissima) e finisce in tragedia con un film che spiazza, turba, sconvolge. Tutto questo senza rinunciare ad una tagliente, geniale ironia che evita le battutone da applausi ma arriva spesso al bersaglio. Crudele, pessimista, ma non priva di speranza: non a caso, l’unico personaggio positivo – oltre alla famiglia di colore – è un bambino. Molte le azzeccate citazioni dal noir del passato, da Hitchcock (l’assassino perbene, i capelli tinti, il latte) a Wilder (il discorso sull’indennità, il coinvolgimento dell’investigatore). Cast straordinario diretto benissimo nel quale, oltre a un Damon sotto le righe e ad una Moore sopra, spicca il giovanissimo Jupe. Memorabile lavoro del direttore della fotografia Robert Elswit, che di giorno illumina i quartieri di Suburbicon come se fossero cartoline e di notte lavora sui forti contrasti creando, soprattutto in casa Lodge, un clima grottesco che da nell’onirico. Musiche del “coeniano” Alexandre Desplat. Insomma, Clooney regista vale parecchio, forse anche di più del Clooney attore. Lo scarso successo e il fatto che sia stato scandalosamente dimenticato ai premi Oscar indicano che non tutti la pensano così, ma è un insuccesso che gli fa onore. Presentato in concorso a Venezia. Consigliatissimo.

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