Roma città aperta

Regia di Roberto Rossellini

con Aldo Fabrizi (Don Pietro Pellegrini), Anna Magnani (Pina), Marcello Pagliero (Giorgio Manfredi), Vito Annichiarico (Marcello), Francesco Grandjacquet (Francesco), Harry Feist (maggiore Bergmann), Maria Michi (Marina Mari), Giovanna Galletti (Ingrid), Nando Bruno (Purgatorio, il sacrestano), Carla Rovere (Lauretta), Akos Tolnay (il disertore austriaco), Joop Van Hulzen (maggiore Hartmann), Carlo Sindici (il questore di Roma).

PAESE: Italia 1945
GENERE: Drammatico
DURATA: 98′

Nella Roma del 1945, ancora in mano ai nazifascisti, un prete di borgata aiuta i membri della resistenza a nascondersi. Dopo la morte della moglie di uno di loro, verrà catturato mentre aiuta un soldato austriaco disertore e un influente membro della resistenza a fuggire verso un convento. Morirà fucilato per non aver dato informazioni al nemico.

Da un soggetto di Sergio Amidei, anche sceneggiatore con un giovane Federico Fellini, il primo vero grande film neorealista e uno dei capisaldi della storia del cinema mondiale. Un po’ per necessità (mancavano i fondi, ed era difficile girare in una Roma appena liberata e terribilmente ferita dai bombardamenti) e un po’ per scelta poetica (gli orrori della guerra pretendevano un punto di vista nuovo, più vicino alla Storia) Rossellini concepisce un tipo di racconto inedito basato sul realismo e sulla quotidianità. Va a girare in strada, nei luoghi reali degli eventi e lontano dai salotti del cinema fascista, e lì racconta per la prima volta gli abomini dell’occupazione nazista e del fascismo. Evidenti le ristrettezze economiche: la pellicola scarseggiava, e dunque Rossellini dovette usarne di diversi tipi e formati (una diversità che spesso si nota nel passaggio tra un’inquadratura e l’altra); la macchina da presa è spesso precaria, soprattutto in alcune scene girate all’esterno (non v’era il tempo di sistemarla su un cavalletto). Nonostante questo, ancora oggi Roma città aperta colpisce per l’incredibile modernità stilistica. La morte della Magnani rimane uno dei pezzi più drammatici dell’intera storia del cinema (non s’era mai visto nulla di simile in sala), ma secondo molti la scena che decreta la nascita del cinema moderno è quella della tortura di Manfredi, in cui Rossellini mostra la barbarie nazista in tutta la sua crudezza. Come a dire che non si può più volgere lo sguardo davanti alla Storia: il cinema sente l’urgenza di raccontarla, anche nei suoi aspetti tragici. Che è poi la quintessenza dell’ideale neorealista, e la caratteristica che più lo distanzia dal cinema venuto prima. Nessuna retorica ma molta umanità, tenerezza, pietà. Straordinario Fabrizi e straordinaria la Magnani, che grazie a questo film divenne una diva internazionale. Tre Nastri d’argento (sceneggiatura, regia – ex aequo con Sciuscià di De Sica e Un giorno nella vita di Blasetti – e interpretazione femminile) e nomination all’Oscar come miglior film straniero. Film imperdibile e immortale.

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