Quo Vadis, Baby?

Regia di Gabriele Salvatores

con Angela Baraldi (Giorgia Cantini), Gigio Alberti (Andrea Berti), Claudia Zanella (Ada Cantini), Elio Germano (Lucio), Luigi Maria Burruano (capitano Cantini), Andrea Renzi (commissario Bruni), Alessandra D’Elia (Anna Loy), Bebo Storti (Lattice), Gennaro Diana (Giulio), Ylenia Malti (ragazza),

PAESE: Italia 2005
GENERE: Drammatico
DURATA: 105’

L’investigatrice privata Giorgia, quarantenne solitaria e incline all’alcol, riceve da un vecchio amico alcune VHS contenenti le confessioni più intime della sorella Ada, morta suicida sedici anni prima. Giorgia inizia così un’indagine personale che la porta ad indagare sul suo passato e su quello delle persone che gli stanno intorno, nel tentativo di scoprire le dinamiche che portarono Ada a quel gesto crudele…

Tratto dal romanzo omonimo della cantautrice/ scrittrice Grazia Verasani e sceneggiato da Salvatores con Fabio Scamoni, il 12esimo film del regista napoletano trapiantato a Milano è un bel noir all’italiana costruito su una pregevole suspense  che non ha nulla da invidiare ai modelli statunitensi. Il personaggio principale non è nuovo nel cinema di Salvatores (una quarantenne incazzata col mondo che si fa le canne), ma gli sceneggiatori sono bravi a darle uno spessore psicologico ben definito e a dotarla di un retroterra malinconico complesso ed affascinante. Nulla di nuovo nella trama, e l’eccessiva proliferazione dei sottofinali diventa parossistica, ma nel suo essere noir senza complotti, giallo senza vittima (o meglio, giallo con vittima morta da sedici anni) appare decisamente originale nel panorama desolante del thriller italiano. E il personaggio di Alberti (professore di cinema) propone almeno due riflessioni: la prima, “cinefila”, è fatta di strizzatine d’occhio ad altri film (il titolo deriva da una frase di Brando in Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, le case sono tappezzate di manifesti di vecchi, grandi capolavori), ed è forse la meno sobria e più semplicistica; la seconda invece, “teorico- cinematografica”, si mostra in grado di raccogliere spunti interessanti sul parallelo vita/ cinema, realtà/ immagine riprodotta, verità/ vetrina di essa. Senza dimenticare che si tratta di un film riuscito sul bisogno di fermare i rimpianti e troncare con il passato, sempre pronto a ferire e a lasciare inermi. La costruzione “all’americana” è curata, e a livello tecnico il film vale soprattutto per come riesce a creare un’atmosfera piovosa e notturna, calda e affascinante: il merito è senz’altro della fotografia quasi espressionista del solito Italo Petriccione (con Salvatores da Marrakech Express, 1989), capace di trasformare i portici bolognesi in spazi onirici e metafisici. Qua e là il film fa pure paura, e il finale sorprende per come ribalta le convinzioni e lascia a bocca asciutta lo spettatore, desideroso (perché condizionato dalle norme non scritte dell’intrattenimento) di individuare un colpevole. Un plauso va anche al montaggio originale di Claudio Di Mauro e alle musiche di Ezio Bosso. Colonna sonora nostalgica ben inserita: inizia e finisce con Impressioni di settembre della P.F.M., la prima volta cantata da Di Cioccio e compagni, la seconda riproposta dalla Baraldi che, oltre ad essere insindacabilmente una brava attrice (il film rappresenta il suo esordio da protagonista), fa la cantautrice dal 1990. Solo un premio: il Gianni di Venanzo alla fotografia. Un buon film.

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