Pacific Rim

(Pacific Rim)Locandina

Regia di Guillermo Del Toro

con Charlie Hunnam (Raleigh Becket), Idris Elba (Stacker Pentecost), Rinko Kikuchi (Mako Mori), Charlie Day (Newton Geizler), Ron Perlman (Hannibal Chau), Robert Kazinsky (Chuck Hansen), Max Martini (Hercules Hansen), Clifton Collins Jr. (Tendo Choi), Burn Gorman (Hermann Gottlieb), Robert Maillet (Aleksis Kaidanowsky), Heather Doerksen (Sasha Kaidanowsky).

PAESE: USA 2013
GENERE: Fantascienza
DURATA: 131’

2013. Da una falla spazio temporale apertasi improvvisamente in fondo all’oceano Pacifico giungono nel nostro mondo i Kaijū, giganteschi mostri sanguinari che hanno come unico obbiettivo la distruzione della razza umana. Per contrastarli si costruisce un esercito di Yeager, giganteschi robot antropomorfi condotti con la mente da due piloti collegati in una “stretta di mano neurale”. Dodici anni dopo, i governi accantonano il progetto e optano per la costruzione (sic) di una muraglia in cemento armato che circondi l’intero oceano Pacifico. Ma la minaccia Kaijū si fa sempre più preoccupante e, mentre le gigantesche mura vengono sgretolate senza problemi dai mostri, il generale Pentecost, ex capo del progetto Yeager, rimette insieme una squadra con l’intenzione di mettere fine all’apocalisse.

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Raro (e assai apprezzato) autore del panorama fantasy-horror indipendente, Del Toro sbarca a Hollywood con un kolossal fantascientifico da 200 milioni di dollari che vuol’essere un omaggio al cinema giapponese dei “robottoni” – da Mazinga a Neon Genesis Evangelion, passando per Gundam – e dei mostri giganti (Godzilla il modello più esplicito). Le premesse per un grande film c’erano tutte: il talento visionario di Del Toro (già riscontrato in Blade II, Il labirinto del Fauno, e nello strepitoso Hellboy 2 – The Golden Army) sostenuto (finalmente) sostenuto da un’enorme budget, stanziato in questo caso dalla Warner Bros Pictures. Premessa sfumata. Invece che porre gli effetti speciali al servizio del proprio estro, Del Toro si mette al servizio degli effetti speciali e dei più beceri stereotipi hollywoodiani, girando un film che potrebbe tranquillamente appartenere ad un Michael Bay o ad un Emmerich. Con la differenza che, almeno, questi ultimi due hanno imparato – tardi, ma ce l’hanno fatta – a usare il fioretto dell’ironia, una componente che invece sfugge (incredibilmente, visti i suoi film precedenti)  al pluripremiato regista messicano. Incoerenza e inverosimiglianza, in film come questi, ci stanno sempre, ed è da stolti mettersi lì ad appuntarsi tutte le castronerie scientifiche, ideologiche, concettuali che vi possono apparire. Il problema maggiore di questo Pacific Rim è un altro, e sta nell’abnorme utilizzo di tutti i più abusati, scontati, banali, fastidiosi luoghi comuni già visti nei tantissimi mediocri blockbuster fantascientifici hollywoodiani cui ci siamo – ahinoi – abituati negli ultimi dieci, quindici anni.

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Visivamente nulla da dire: Del Toro sa come emozionare, come creare la suspense, come tenere lo spettatore coi nervi tesi, e la visione di questo film – specialmente se avviene in sala e in 3D – è un’esperienza adrenalinica paragonabile soltanto ad un giro sull’ottovolante o ad una gita nella foresta amazzonica. L’idea di “grosso”, “imponente”, “enorme”, “minaccioso”, raramente era stata trasmessa così bene dentro ad uno schermo. I tempi della paura sono studiati per creare la massima tensione, e il film riesce nell’intento di scuotere chi guarda. Il problema è in tutto il resto: personaggi bidimensionali tagliati con l’accetta, dialoghi imbarazzanti, inopportune (e insensate) parentesi di rude orgoglio yankee, sviluppi narrativi scontatissimi (il rapporto tra il protagonista e il coetaneo Chuck Hansen è identico a quello tra Tom Cruise e Val Kilmer in Top Gun, la storia d’amore è la sagra dello stereotipo) . Quando si arriva alla scena finale, identica a quella di Apollo 13 (ed è tutto detto), si è più intontiti dalla banalità degli espedienti narrativi che dalle botte che si danno mostroni e robottoni. Responsabile anche della sceneggiatura (con Travis Beacham), Del Toro sembra cercare spiragli dell’autore che fu – una delle poche scene in stile “Guillermo” è quella del “bazar dei Kaijū”, non a caso interpretata dall’attore-feticcio Ron Perlman – e qua e là tenta guizzi di fine ironia (si veda l’intro coi piloti trattati come star, o il fatto che il robottone russo sia un avanzo di guerra fredda che si chiama Cherno Alpha e al posto della testa ha un reattore nucleare), ma la triste impressione è quella di un genio con le mani legate dai dollari, un artista che accantona il suo talento perché ha scoperto che così facendo si vende di più.

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I cultori del trash (oltre alle migliaia di ridicole incongruenze), ameranno la sequenza in cui il protagonista afferma di poter utilizzare il suo Yeager perché, diversamente dagli altri, è analogico invece che digitale (sic, sic, e ancora sic!). Infatti il touch screen che lo comanda pare proprio un vecchio apparecchio analogico. Il messaggio ecologista, solitamente caro al regista, è appiccicato con lo sputo, mentre i tratti “forti” della sua poetica (come la pietà per qualsiasi tipo di mostro) sono totalmente assenti. Tra i contributi tecnici si fanno apprezzare gli strepitosi, assai realistici effetti speciali curati tra gli altri dalla Industrial Light and Magic (le scene di battaglia sotto la pioggia sono più che eccellenti) e la fotografia del sempre bravo Guillermo Navarro. Bellissima la canzone finale scritta dal compositore Ramin Djawadi e suonata da Tom Morello. Critica e pubblico spaccati a metà. Legittimo, ma su quei giovani recensori che difendono il film dicendo che “le inverosimiglianze e le incoerenze c’erano già nei prodotti presi a modello da Del Toro e lui le ha mantenute volutamente”, caliamo un velo pietoso. Un’occasione mancata, un film che delude le aspettative. Peccato, soprattutto per Del Toro, che sicuramente ha fatto (e, ne siamo certi, sa fare) un cinema assai migliore di questo.

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