Loro 1

Regia di Paolo Sorrentino

con Toni Servillo (Silvio Berlusconi), Elena Sofia Ricci (Veronica Lario), Riccardo Scamarcio (Sergio Morra), Kasia Smutniak (Kira), Euridice Axen (Tamara), Fabrizio Bentivoglio (Santino), Roberto De Francesco (Fabrizio Sala), Dario Cantarelli (Paolo Spagnolo), Giovanni Esposito (Mariano Apicella), Ugo Pagliai (Mike Bongiorno), Ricky Memphis (Riccardo Pasta).

PAESE: Italia 2018
GENERE: Drammatico
DURATA: 104′

L’affarista Sergio Morra si costruisce un esercito di belle figliole disposte a tutto e, a suon di feste e cocaina, cerca di entrare nel lucroso giro d’affari di Silvio Berlusconi, che nella sua villa in Sardegna cerca di rappacificarsi con una scorbutica, disillusa Veronica Lario…

Primo capitolo di un dittico dedicato a una delle più emblematiche figure che hanno attraversato – e plasmato – la società italiana degli ultimi vent’anni. Anche questa prima parte è geometricamente divisa in due: i primi 50′ sono interamente dedicati a Marra (alter ego di Gian Paolo Tarantini, ma i nomi sono quasi tutti cambiati per evitare querele) e alla descrizione del mondo delle Escort di lusso che gravitano attorno alla politica, gli ultimi ’40 raccontano invece uno stralcio di vita della famiglia Berlusconi in vacanza. Accolto male un po’ dappertutto, è probabilmente il film più brutto di Sorrentino. Ma davvero avevamo bisogno di un’ora di dialoghi da soap opera, scene senza senso (ma girate bene, per carità!), squarci di imbarazzante ridicolo involontario e metafore scorreggione (la prima scena, quella della pecora) per portare avanti la tesi che la politica italiana è piena di coca e mignotte e che noi italiani siamo dei pecoroni? Nello scoprire l’acqua calda, Sorrentino fa sbadigliare e venire il nervoso. Invece che aspirare alla metafora – come aveva fatto con Il Divo, tutt’oggi il suo film migliore – lascia che il significante schiacci il significato e gira il suo film più noioso e piatto, meno simbolico e meno allegorico. Anche intellettualmente stupido: preso dalla smania di fare l’autore, inebriato dal suo stesso stile, concentrato a fare il Kubrick de noantri, Sorrentino non si accorge – o forse sì, ed è peggio – che per raccontare lo sfruttamento del corpo femminile tipico del berlusconismo non fa che mostrare copule, tette, culi, ovvero: sfrutta il corpo femminile per venderci un prodotto (in questo caso il suo cinema) esattamente come lo ha fatto il berlusconismo. La scena della festa, spartiacque tra le due parti, è emblematica a riguardo: con uno stile compiaciuto da pornosoft alla Tinto Brass e un montaggio convulso da spot del Campari, gira un terrificante delirio post-moderno che dovrebbe raccontare lo squallore e invece, pieno di chiappe e baci lesbo in piscina, finisce per solleticare le patte maschili come una qualunque puntata del bagaglino. Anche le trovate riuscite (come l’immondizia volante che diventa pasticche di ecstasy) finiscono per passare in secondo piano e restare nella sfera del virtuosismo fine a sè stesso. La seconda parte è leggermente superiore, e il merito è soprattutto dell’entrata in scena di Servillo: non molto somigliante a Berlusconi a livello fisico, gli è tuttavia identico nelle espressioni facciali, nel modo di parlare, nel modo di camminare. Un’ennesima trasformazione che gli fa onore. Anche i dialoghi migliorano leggermente, riuscendo quantomeno a diventare evocativi nel descrivere il personaggio. Attendiamo ora la seconda parte, sperando che sia migliore della prima e che dia un senso a molte delle castronerie improponibili viste qui.

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