La sfida

Regia di Francesco Rosi

con José Suárez (Vito Polara), Rosanna Schiaffino (Assunta), Nino Vingelli (Gennaro), Decimo Cristiani (Salvatore Ajello), José Jaspe (Raffaele), Tina Castigliano (Madre di Vito), Pasquale Cennamo (Fernando Ajello), Elsa Valentino Ascoli (Madre di Assunta), Ubaldo Granata (Califano), Ezio Vergari (Antonio), Elsa Fiore (sorella di Vito), Rosita Pisano (La lavandaia).

PAESE: Italia 1958
GENERE: Drammatico
DURATA: 83′

A Napoli, ancora deturpata dai segni dei bombardamenti, il giovane Vito tenta la scalata al successo, ma deve vedersela con un boss più vecchio e saggio di lui…

Fulminante esordio di  Rosi, che lo scrisse con Enzo Provenzale e Suso Cecchi D’Amico ispirandosi ad un fatto di cronaca napoletana dell’epoca. Si scorgono già i temi che affronterà nel suo cinema a venire: la correlazione tra ciò che accade sulla strada (la prima parte) e ciò che accade dentro le mura del potere (la seconda); l’idea di un sud prigioniero dei propri anacronistici riti quotidiani che non riesce a sottrarsi a corruzione e criminalità, uniche possibili fonti di successo; lo scontro generazionale all’interno della malavita. In equilibrio tra neorealismo e innovazioni, tra dramma popolare e modelli statunitensi (il noir, il gangster), è un film profondamente verista in senso verghiano: chi tenta di migliorare la propria misera condizione è costretto a fallire. Rosi deve ancora qualcosa a Visconti – anche se gli manca “la statura morale del suo maestro” (Aristarco), in quanto spinge a patteggiare per Vito nonostante sia peggiore del boss vecchio – ma il suo stile è già piuttosto personale: si compone di lunghi piani sequenza che raccontano il divenire senza interventi esterni; sfrutta la profondità di campo per inserire i personaggi su più livelli, dettati dalla fisionomia degli edifici in cui si trovano (a questo proposito, splendide le geometrie sulle balconate del cortile riflesse, dopo una straordinaria ellissi, sui balconi dell’appartamento comprato dopo il “il grande salto”: come a dire che cambiano i luoghi ma sotto sotto i personaggi sono gli stessi, fanno parte delle stesse gerarchie sociali): pennella inquadrature plastiche e perfette che gestiscono lo spazio del fotogramma in maniera simbolica; lo spettatore è libero di soffermarsi su ciò che vuole e, anzi, riesce a vedere più cose dei personaggi stessi, il che accentua una suspense più che discreta (si pensi al brindisi al matrimonio, con l’affarista in lontananza che si posiziona tra gli sposi). Rosi dimostra grande padronanza dei rumori e dei suoni, gran senso del ritmo e ottima capacità di dirigere gli attori, ben mescolati tra professionisti e non. Un plauso anche alla fotografia contrastata di Gianni Di Venanzo. Da vedere.

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