La conversazione

(The Conversation)

Regia di Francis Ford Coppola

con Gene Hackman (Harry Caul), John Cazale (Stan), Allen Garfield (William P. “Bernie” Moran), Frederic Forrest (Mark), Cindy Williams (Ann), Michael Higgins (Paul), Elizabeth MacRae (Meredith), Teri Garr (Amy Fredericks), Harrison Ford (Martin Stett), Robert Duvall (direttore).

PAESE: USA 1974
GENERE: Drammatico
DURATA: 113’

Harry Caul, mago delle intercettazioni, scopre di avere una coscienza quando si convince che due giovani da lui spiati per conto terzi corrono un grave pericolo.

Il settimo film di Coppola, da lui prodotto, scritto e interpretato, è anche uno dei suoi grandi capolavori, venuto alla luce appena due anni dopo l’exploit de Il Padrino. Concepito in pieno clima Watergate, è un potentissimo apologo sociale sul potere fagocitante della tecnologia. L’idea iniziale deve qualcosa – a detta dello stesso Coppola – a Blow Up di Antonioni (un uomo che sta registrando dei suoni si convince di aver trovato le tracce di un omicidio), ma Coppola è abilissimo nel trasformare un qualsiasi spunto spionistico in una metafora riuscita sulla paranoia e le ossessioni della vita odierna, in cui tutti, in un modo o nell’altro, sono osservati da qualcun’altro. Costruito su un’atmosfera kafkiana che lo fa sembrare un “incubo realistico”, il film parte come un pamphlet politico d’impegno civile, diventa un giallo metropolitano d’atmosfera e finisce come un thriller hitchcockiano con tanto di (geniale) colpo di scena. È, in fin dei conti, una parabola sul ruolo dell’immagine all’interno della società mediatica: Caul è convinto di non essere responsabile delle sue azioni perché egli si limita a registrare qualcosa che accadrebbe comunque, ma non si accorge che il suo lavoro diviene “causa” per “effetti” spesso devastanti. La regia di Coppola fiata sul collo del suo protagonista (un Gene Hackman assolutamente magistrale), e diviene spesso simbolica nel suggerire che, come Harry, tutti siamo inconsapevolmente spiati: si veda la strepitosa sequenza iniziale, nel parco affollato, in cui la macchina da presa scende lentamente sui personaggi senza mai abbandonare uno sguardo “esterno”, dall’alto, insomma insidioso, o la celeberrima scena finale in cui la macchina da presa si muove come una telecamera di sicurezza all’interno dell’appartamento di Caul, che distrugge tutto in cerca di “cimici”. Non a caso i pochi movimenti di macchina che si scorgono sono rigidi e simmetrici: anche lo spettatore osserva Harry come se lo stesse spiando (e, a livello teorico filmico, è proprio ciò che sta facendo).

Molti hanno definito lo sguardo di Coppola uno sguardo “cattolico” (Harry viene punito per contrappasso in quanto la sua presa di coscienza arriva troppo tardi); a noi sembra piuttosto che sia uno sguardo “morale”, capace di cogliere le sottigliezze della personalità umana e di fermarsi, sconsolato ma lucido, dinnanzi ad una casualità derivata dall’incapacità umana di poter adottare un punto di vista oggettivo. Che, sembra suggerire Coppola, può essere identificato correttamente solo nel cinema e dal cinema. Qualche inverosimiglianza inziale (come il fatto che Harry incontri “casualmente” i due amanti facendo un semplice viaggio nell’ascensore della ditta) non scalfisce minimamente la grinta di un film superbo che andrebbe studiato nelle scuole per come riesce a trasformare tecnica e virtuosismo in arte. Il barocchismo scenografico (quasi wellesiano) della pellicola è esaltato dalla straordinaria fotografia di Bill Butler, capace di trasfigurare la realtà e sfociare nell’onirico senza mai apparire patinata. Il tecnico del suono e montatore Walter Murch compose un tessuto sonoro così complesso (ed estremamente affascinante) che la visione del film in versioni doppiate ne dimezza il valore: ogni sfumatura delle voci, dei suoni, dei rumori, è in tutto e per tutto funzionale alla storia, così come le musiche Jazz di David Shire. In piccoli ruoli appaiono Harrison Ford, Teri Garr e Robert Duvall, quest’ultimo non accreditato. Il finale impregnato di malinconia, in cui Harry suona il Sax da solo dopo aver distrutto il suo appartamento, è uno dei pezzi più struggenti del cinema di Coppola. Uno dei miglior film americani degli anni ’70.

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