Harry a pezzi

(Deconstructing Harry)Poster

Regia di Woody Allen

con Woody Allen (Harry Block), Hazelle Goodman (Cookie), Richard Benjamin (Ken), Kirstie Alley (Joan), Billy Crystal (Larry), Judy Davis (Lucy), Bob Balaban (Richard), Elisabeth Shue (Fay), Robin Williams (Mel), Caroline Aaron (Doris), Eric Bogosian (Burt), Mariel Hemingway (Beth Kramer), Amy Irving (Jane), Julie Kavner (Grace), Eric Lloyd (Hilly), Tobey Maguire (Harvey Stern), Demi Moore (Helen), Stanley Tucci (Paul Epstein).

PAESE: USA 1997
GENERE: Grottesco
DURATA: 96’

Harry Block, scrittore sessantennne in piena crisi creativa, ha all’attivo tre mogli, un figlio piccolo, sei analisti, innumerevoli scopate con prostitute o donne che non ama. Mentre cerca di mettere ordine alla sua vita “decostruendosi” come un personaggio dei propri racconti, viene invitato all’Università che l’aveva sbattuto fuori anni prima per ricevere un’onorificenza, ma lui, come se le cose non fossero già abbastanza complicate, ci va con una battona di colore, un amico incline all’infarto e il figlioletto, letteralmente rapito fuori da scuola…

Tre anni dopo lo strepitoso Pallottole su Broadway, Allen riprende la sua riflessione sul rapporto tra arte e vita, sulla non contiguità tra l’uomo e l’artista: il primo è mediocre, cattivo, arrogante, il secondo geniale. Come possono condividere in armonia lo stesso corpo? E, soprattutto, come può il primo accettare il fatto che solo il secondo possa mettere ordine alle cose, in quanto demiurgo che le ha create? Il regista newyorchese si cuce addosso il ruolo più sgradevole della sua carriera – che pare modellato su ciò che la gente pensa di lui come uomo – e concepisce una commedia altrettanto sgradevole (parole come “scopare” e “pompino” vi appaiono una cinquantina di volte) che sottolinea il caos e lo squallore dell’esistenza e l’impossibilità (dell’artista, certo, ma di chiunque) di vivere gli eventi in modo razionale. Il mitico Bonanza di Radiofreccia diceva che “le vite nei film sono perfette, belle o brutte, ma perfette”, e che nella vita non sai mai come andrà a finire. Spiace tirare in ballo Ligabue parlando di Woody Allen, ma il senso del suo trentesimo film è proprio questo. Decostruito come il personaggio, senza una trama forte, in balia di un montaggio spezzettato che riflette la confusione del protagonista, è un film molto, molto divertente, sia per i dialoghi, talvolta irresistibili, che per le trovate registiche: geniali, ad esempio, quella dell’attore interpretato da Robin Williams, perennemente fuori fuoco (visivamente e interiormente) e quella dei personaggi letterari che diventano la coscienza dell’autore. Allen ha in mente i suoi maestri Fellini e Bergman per quanto riguarda le strutture narrative (8 e ½ e Il posto delle fragole principalmente), ma la strepitosa sequenza all’inferno è ispirata a un film muto italiano del 1926, Maciste all’inferno (non a caso la fotografia della pellicola è affidata all’italianissimo Carlo di Palma). È un film assolutamente geniale, una vera e propria lezione di meta cinema in stile Allen, un’ennesima frecciata sulla vita che centra il bersaglio. Sarebbe un capolavoro se nel finale il regista non attribuisse la condizione di Harry ad un vago e metafisico male di vivere piuttosto che al suo essere, per scelta, un grandissimo stronzo. Turpiloquio in abbondanza, insolito per un film di Allen, ma mai gratuito. Un sacco di attori, tutti bravissimi. Da vedere.

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