Gli Spietati

(Unforgiven)

Regia di Clint Eastwood

con Clint Eastwood (William Munny), Gene Hackman (“Little Bill” Daggett), Morgan Freeman (Ned Logan), Richard Harris (Bob “l’Inglese”), Jaimz Woolvett (Schofield Kid), Anna Thomson (Delilah Fitzgerald), Frances Fisher (Strawberry Alice), Ron White (Clyde Ledbetter), Beverly Elliot (Silky), Frank C. Turner (Fuzzy), Saul Rubinek (Beauchamp).

PAESE: USA 1992
GENERE: Western
DURATA: 131′

Un gruppo di prostitute mette una taglia di mille dollari su due cow boy, uno dei quali colpevole di aver sfregiato durante un amplesso una di loro. In molti partono alla volta di Big Whiskey, il villaggio del fattaccio: il giovane “Kid”, bravo con le parole ma quasi cieco quando è ora di sparare; l’ex assassino Munny, accompagnato dall’amico nero Ned Logan; l’arrogante Bob, inglese egocentrico che gira con un biografo che appunta le sue gesta. Ma allo sceriffo Little Bill non va che qualcuno eserciti la legge al posto suo, e per questo prima sevizia Bob e poi uccide Ned. Sarà Munny a mettere la parola fine all’intera storia: entrato in città, ucciderà senza pietà tutti gli uomini di Bill e i notabili di Big Whiskey, colpevoli di aver preso parte alla messa a morte dell’amico.

Grande successo di pubblico ed effettiva consacrazione dell’Eastwood autore- regista, Unforgiven è un caposaldo del genere western e in particolare dell’opera del regista statunitense. Allontanatosi definitivamente dai modelli del passato (Leone, Siegel) e avvicinatosi a registi meno togati ma egualmente siginificativi (l’Altman de I compari, per esempio), l’ex pistolero senza nome firma quello che qualcuno ha definito “l’ultimo western”, un’opera che mette la parola fine ai racconti sull’epopea. Inutile dirlo, non è un finale roseo: il  regista racconta un west mai mitico né tanto meno epico, spogliato di ogni vena romantica e popolato non di eroici cow boy bensì di “ubriaconi che sparano”. Come nota correttamente Mereghetti la fortuna ha girato le spalle agli eroi, mentre il coraggio, la spavalderia e l’abilità sembrano non essere mai esistiti (il duello finale avviene addirittura tra un uomo in piedi e uno sdraiato a terra).

E così ci accorgiamo che uccidere un uomo non è mai “semplice” (“è una cosa grossa. Gli togli tutto quello che ha e tutto quello che avrebbe voluto avere”, dice Munny) e che il sentimentalismo lascia il posto ad una bassezza “morale” senza precedenti – continui sono infatti i riferimenti a temi “bassi”: defecare, orinare, scopare. E le storie che raccontano gesta eroiche non sono che balle abbellite dai media, incarnati simbolicamente dal biografo Beauchamp, sempre dalla parte del più forte. Eastwood prende gli archetipi del genere e li smonta pian piano, basandosi sui fatti storici e su una concezione dell’America di fine ‘800 opposta a quella spacciata per verità proprio dal genere cinematografico stesso. Infatti, al di là dell’intreccio, il film è una metafora della violenza intesa come base della società americana, fondata sul massacro dei suoi legittimi abitanti. Perché Munny nel finale compie quel massacro? La morte di un amico e lo sfregio di una prostituta possono portare un uomo a tanto? Non vogliamo rispondere in questa sede (anche perché si tratterebbe di una risposta “ideologica”) ma siamo certi nell’affermare che Munny, in quel finale così eccessivo, diventa nelle intenzioni del regista “un’essenza”: quella della società americana e, “meta- cinematograficamente” parlando, quella del genere western.

E il finale beffardo è più politico di quanto possa sembrare: la didascalia che ci informa che Munny, tornato a casa, farà fortuna nel commercio, non fa che sottolineare con ironia come assassini e criminali del west divennero cittadini “rispettabili” una volta raggiunto il loro scopo. “È un film in cui il passato non è più memoria ma ossessione, il mondo non è scontro leale ma cinismo, lo sguardo non è western ma noir, il protagonista non è esempio ma disperazione” (Canova). Come sempre Eastwood imbastisce una confezione filmica perfetta. I toni noir presenti lungo tutto il film raggiungono il loro apice nella bellissima sequenza finale, in cui la fotografia espressionista di Jack N. Green rende la cittadina di Big Whiskey una sorta di “succursale” dell’inferno, mentre il montaggio di Joel Cox – premiato con l’Oscar – non è mai stato così funzionale al racconto: si pensi alla sequenza dell’uccisione del primo cowboy, in cui una successione di immagini accostate in modo geniale rispecchia l’atroce pena dell’uccidere i propri simili. È un film visivamente eccelso nel suo perfetto equilibrio tra naturalismo ed epica “del paesaggio”.

Bellissimo è anche il tema musicale, composto dallo stesso Eastwood. Perfetti come sempre gli attori, Hackman su tutti (giustamente premiato con l’Oscar), ma anche lo stesso regista non è mai stato così “maturo” davanti alla macchina da presa. Un grande film, classico quanto innovativo. Quattro statuette: film, regia, Hackman non protagonista e montaggio. La sceneggiatura di David Webb Peoples fu scritta 15 anni prima per un progetto di Francis Ford Coppola. Da non perdere.

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3 risposte a Gli Spietati

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