Fuga da Alcatraz

(Escape from Alcatraz)Locandina

Regia di Don Siegel

con Clint Eastwood (Frank Morris), Larry Hankin (Charlie Butts/ Charlie Puzo nella versione italiana), Fred Ward (John Anglin), Jack Thibeau (Clarence Anglin), Patrick McGoohan (Direttore), Paul Benjamin (English), Frank Ronzio (Tornasole), Robert Blossom (Chester “Doc” Dalton), Bruce M. Fischer (Wolf Grace), Fred Stuthman (Johnson), David Cryer (Wagner), Madison Arnold (Zimmerman).

PAESE: USA 1979
GENERE: Drammatico
DURATA: 112’

Come, la notte dell’11 giugno 1962, Frank Morris e i fratelli John e Clarence Anglin riuscirono a fuggire dal penitenziario di massima sicurezza di Alcatraz, nella baia di San Francisco, e a far perdere le loro tracce. Poco meno di un anno dopo, il carcere chiuse i battenti per sempre.

Scritto da Richard Tuggle basandosi sul romanzo omonimo di J. Campbell Bruce, il film narra la storia – vera – dell’unico tentativo di evasione riuscito dal carcere di Alcatraz. Gli stereotipi ci sono tutti – nei personaggi (il direttore sadico, il detenuto “tenero”, quello violento), nelle situazioni, nella costruzione della suspense – ma Siegel li “prosciuga” con lo stile (Mereghetti). Uno stile asciutto e controllato che punta all’essenziale facendo economia di tutto: dialoghi, movimenti di macchina, musiche, scenari, persino di violenza. Se la prima è la regia, la seconda carta vincente del film è la recitazione di Eastwood, perfetta proprio perché basata sull’essenziale. È diventato un classico perché non ha orpelli, rifiuta qualsiasi barocchismo e intrattiene per due ore senza mai ricercare il botto. Siegel filma Alcatraz (quella vera, chiusa da 16 anni e riaperta per l’occasione) con inquadrature simmetriche e rigidissime che richiamano anche visivamente l’oppressione e la presa soffocante di quel luogo terrificante. L’elemento visivo che governa il film è la linea retta (delle sbarre, dei corridoi, delle grate, dei condotti da cui fuggono i tre prigionieri), e non è un caso che esso venga a mancare soltanto quando i protagonisti riescono a fuggire: nell’ultima inquadratura, finalmente, appaiono il mare e gli scogli, privi di qualsivoglia riferimento geometrico convenzionale e, quindi, simboli di libertà. Chi definì Siegel un fascista (accadde ad esempio quando uscì Dirty Harry) dovrebbe ricredersi guardando Fuga da Alcatraz: prima ancora di essere un superbo action movie e un modello per centinaia di pellicole, anche ottime, venute dopo (avete presente Le ali della libertà?), è un piccolo saggio sulla libertà e sulla dignità umana, un apologo anti-razzista, un lucido attacco al sistema carcerario americano, un importante e veritiero documento sulla vita carceraria. Memorabile (e spericolata) fotografia del grande Bruce Surtees e ottime musiche minimaliste di Jerry Fielding. L’inquadratura finale del fiore è un piccolo poema visivo di rara efficacia emotiva. Sobrio, serrato, struggente, è una vetta dell’opera di Siegel, un caposaldo del genere carcerario, un saggio di cinema puro che conserva il coraggio di comunicare esclusivamente attraverso le immagini. Grande successo di pubblico ma – incredibilmente – nemmeno un Oscar.

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