Dunkirk

(Dunkirk)

Regia di Christopher Nolan

con Fionn Whitehead (Tommy), Tom Glynn-Carney (Peter), Jack Lowden (Collins), Harry Styles (Alex), Aneurin Barnard (Gibson), James D’Arcy (colonnello Winnant), Kenneth Branagh (comandante Bolton), Cillian Murphy (soldato sotto shock), Mark Rylance (Mr. Dawson), Tom Hardy (Farrier).

PAESE: Gran Bretagna, USA 2017
GENERE: Guerra
DURATA: 106’

Francia, 1940. L’esercito tedesco circonda 400mila soldati inglesi e francesi sulla spiaggia di Dunkerque. Con l’aiuto di centinaia di imbarcazioni private, il colossale recupero dei soldati si conclude con pochissime perdite.

Tratto da una storia vera, è il film che Nolan – anche sceneggiatore – ha inseguito per ben 25 anni. Si sviluppa su tre linee narrative che raccontano l’evento da tre diverse prospettive (terra, acqua, aria) e che condensano tre diversi lassi temporali (una settimana, un giorno, un’ora) in un continuo andirivieni di spezzoni sempre più brevi (vi ricordate Intolerance?). La prima ora è quanto di meglio Nolan abbia mai girato: parole ridotte al minimo, tessuto sonoro articolatissimo che scaraventa lo spettatore in mezzo alle bombe, tecnica spaventosamente realistica in grado tuttavia di immagini fortemente simboliche. Insomma, finché Nolan fa il Malick va tutto bene. I problemi – se così vogliamo chiamarli – arrivano quando si ricorda che deve fare lo Spielberg: negli ultimi ’40 fanno capolino tutti i clichè possibili sull’eroismo e il film s’imbeve di una fastidiosa retorica hollywoodiana che c’entra poco col resto. Intendiamoci: questo Dunkirk è un gran film che coinvolge ed emoziona dall’inizio alla fine, e molte delle battutacce iper nazionaliste che si sentono sono totalmente inventate dal doppiaggio italiano, ma dinnanzi a trovate oggettivamente molto abusate è legittimo storcere il naso.

Significativa la scelta di utilizzare gli attori (semi)sconosciuti come protagonisti – così cresce l’identificazione: sono ragazzi qualunque – e i divi in piccoli, significativi ruoli (Brannagh, Murphy, Hardy). Struggente e magnifico l’epilogo della narrazione che vede Hardy protagonista. La scelta di girare ancora una volta in IMAX e su pellicola, ma soprattutto di evitare il più possibile la computer grafica prediligendo effetti speciali “reali”, fa di Nolan uno dei pochi artigiani (ovviamente non a livello economico ma di concetto) presenti a Hollywood. Al risultato finale concorrono senza ombra di dubbio due contributi tecnici straordinari: la fotografia di Hoyte van Hoytema e le musiche (ma sarebbe più corretto dire i suoni) di Hans Zimmer.

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