Diaz – Don’t Clean Up This Blood

(Diaz – Don’t Clean Up This Blood)

Regia di Daniele Vicari

con Jennifer Ulrich (Alma Koch), Davide Iacopini (Marco), Claudio Santamaria (Max Flamini), Elio Germano (Luca Gualtieri), Ralph Amoussou (Etienne), Emilie De Preissac (Cecile), Fabrizio Rngione (Nick Janssen), Renato Scarpa (Anselmo Vitali), Mattia Sbragia (Armando Carrera), Duccio Camerini (Aldoino Fracassi), Antonio Gerardi (Achille Faleri), Paolo Calabresi (Francesco Scaroni), Alessandro Roja (Marco Cerone), Aylin Prandi (Maria), Lilith Stanghenberg (Bea), Christoph Letwoski (Rudy).

PAESE: Francia, Italia, Romania 2012
GENERE: Drammatico
DURATA: 127’

20 luglio 2001. A Genova, sede del G8, muore Carlo Giuliani. La sera successiva, la polizia entra nella scuola Diaz, adibita dal municipio a dormitorio pubblico e, con la scusa di fermare i Black Block, massacra di botte i pacifici – e disarmati – occupanti. Ne arresta una settantina, li porta in caserma, li tortura. Semina prove false (come 2 bombe molotov) e, finito il meeting, tenta di insabbiare tutto. Invano.

Dal particolare all’universale. Da una bottiglietta lanciata da uno studente anarchico verso una camionetta della polizia alla “più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” (Amnesty International). Così imposta il suo sesto film il 45enne reatino Vicari, che con la sceneggiatrice Laura Paolucci ripercorre uno degli eventi più oscuri e drammatici della storia della democrazia italiana. Si basa essenzialmente su tre documenti: gli atti processuali, le testimonianze delle vittime e le tantissime registrazioni video girate durante il G8. Ne esce un film di una violenza iper realistica rara, quasi insostenibile, ma mai come in questo caso asservita allo scopo: Vicari, con occhio obbiettivo e lucido cronachismo, prende lo spettatore a pugni nello stomaco e, non tirandosi indietro davanti a nulla (agghiaccianti le sequenze delle torture), lo spinge a ricordare, o meglio, a non dimenticare quelle immagini vergognose. Creando un racconto corale senza veri protagonisti che accentua l’immedesimazione,  guida l’osservatore in una sorta di inferno moderno in cui non c’è via di scampo. Chiunque abbia un minimo di cultura sa perfettamente cosa accadde quella notte, ma vederlo al cinema, attraverso una ricostruzione fedele, è un’esperienza davvero terrificante. Non ci sono eroi, non c’è un buono che risolva la situazione, non c’è nessun “arrivano i nostri”. C’è solo lo sgomento di fronte alla selvaggia bestialità umana. Il caso di Genova è la punta di un iceberg: se chi mi dovrebbe proteggere mi sta malmenando e torturando, allora nessuno può più garantire la mia liberta d’individuo; la democrazia ha fallito, lo stato vira pericolosamente verso la dittatura; lo stato non tutela, reprime arbitrariamente.

Vicari punta ad un realismo complesso che raramente si scorge nei prodotti italiani, e che per questo risulta paradossalmente grottesco, onirico: siamo così abituati ad una violenza “fasulla”, mediologica (ovvero filtrata dai telegiornali) che quella realistica del film di Vicari ci sembra impossibile, eccessiva, fantasiosa. Invece è tutto vero, ed è per questo che questo film va visto: non è un documentario, non è un film di fiction, è la ricostruzione fedele e coraggiosa di un incubo spregevole che riporta la società italiana al medioevo. Fa molta più paura di qualunque film horror in circolazione perché ciò che viene mostrato è spietatamente vero. E finita la visione, non si può andare a dormire tranquilli perché “tanto è soltanto una storia”. È successo davvero, a gente come tutti noi. Forse non sarà un film d’autore, ma Vicari centra parecchie sequenze (le riprese dall’alto dei caschi blu, le sevizie in caserma) e sa come girare rifiutando enfasi e catarsi che risulterebbero quanto mai fuori luogo o irrispettose. Si fanno apprezzare anche la nebulosa fotografia di Gherardo Rossi e le azzeccate musiche di Teho Teardo. Molti dei personaggi si ispirano a persone realmente coinvolte nei fatti della Diaz. Critiche a gogò, ma buon successo di pubblico. Girato in Romania perché lo Stato italiano ha vergognosamente rifiutato di prestare le location originali alla produzione (Fandango). Il sottotitolo – “non pulite questo sangue” – si riferisce ad una scritta trovata nella scuola il giorno dopo il massacro. È un film crudele che fa rabbia, ma che tuttavia andrebbe mostrato nelle scuole: a livello di formazione, è più esaustivo di qualunque lezione di educazione civica. Insegna cosa NON si deve fare in un paese “civile”.

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