Casinò

(Casino)

Regia di Martin Scorsese

con Robert De Niro (Sam Rothstein), Sharon Stone (Ginger), Joe Pesci (Nicky Santoro), James Woods (Lester Diamond), Don Rickles (Billy Sherbert), Alan King (Andy Stone), Kevin Pollak (Phillip Green), L. Q. Jones (Pat Webb), Frank Vincent (Frank Marino), Pasquale Cajano (Remo Gaggi), Melissa Prophet (Jennifer Santoro), Vinny Vella (Art Piscano), Dick Smothers (il senatore), John Bloom (Don Ward).

PAESE: USA 1995
GENERE: Drammatico
DURATA: 172′

Nel 1973, il puntiglioso allibratore di origini irlandesi Sam Rothstein detto Asso è messo dalla mafia a capo del Tangiers, uno dei più importanti casinò/hotel di Las Vegas. L’amore per una prostituta e l’amicizia con un piccolo gangster italo-americano lo condurranno alla rovina.

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Seconda collaborazione tra Scorsese e Nicholas Pileggi dopo il magistrale Quei bravi ragazzi (1990), del quale riprende, ampliandolo e inscrivendolo nella Storia (con la S maiuscola) degli USA, il discorso sul potere e sulle logiche della criminalità organizzata. Non più – o non soltanto – da un punto di vista antropologico ma anche e soprattutto storico-culturale: tanto quanto Quei bravi ragazzi era un film sulle aberrazioni dell’uomo, sul suo lato bestiale, Casinò è un film sulle aberrazioni e sul lato disumano di una nazione intera. Come nel film precedente il racconto della mafia resta distaccato ed avulso a qualsiasi aura epica o eroica (i capi della Famiglia, quelli che si intascano i soldi del casinò e decidono chi deve vivere e chi morire, non sono che quattro vecchi italiani che mangiano spaghetti nel retro di una trattoria), ma mai come questa volta la storia di questi piccoli (o medi) operai del crimine coincide con quella di un’intera nazione e dei suoi profondi mutamenti: gli anni settanta sono un periodo di transizione in cui la mafia comprende che è giunta l’ora di entrare in politica e la società conosce un desolante abbrutimento. Un peggioramento socio-culturale perfettamente incarnato dalla città di Las Vegas, calderone dei peggiori vizi umani e sempre più simile ad una Disneyland per anziani: “ e mentre i bambini giocano ai pirati, mamma e papà lasciano le rate della casa e i soldi per l’università del piccolo nelle slot machine” (dal film). Insomma, il sogno americano è a tutti gli effetti diventato un incubo. Scorsese ha girato un gangster movie titanico, anomalo tanto è sbilanciato, soprattutto nella seconda parte, verso il melodramma. La prima ora e mezza è una delle più riuscite metafore sul potere del dio denaro mai viste al cinema (il film non fa altro che seguire i soldi dalle sale del casinò alle tasche della mafia, ed è il denaro che muove le azioni di TUTTE le parti coinvolte, dai boss mafiosi alle vecchie incartapecorite che siedono alle slot), la seconda si concentra su ciò che il dio denaro può fare alle persone.

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Ecco perché, nelle mani di Scorsese, un’ennesima storia di ascesa e caduta si tramuta in una profonda parabola morale. Portata peraltro con uno stile unico, pieno di salti, scarti, ellissi, eppure compatto e fluido come non mai (nonostante le tre ore – tre! – di durata), simile a quello visto in Quei bravi ragazzi ma se possibile ancora più ispirato e funzionale: musiche (strepitose) e voci fuori campo dettano il ritmo al montaggio (Thelma Schoonmaker) e alle scelte di regia, in un turbinio di immagini dal forte potere simbolico e descrittivo, valorizzate dalla larghezza del fotogramma panoramico (fotografia di Robert Richardson) e dalle prove – magistrali – di tutto il cast. La ricca colonna sonora spazia da Bach a The house of the rising sun degli Animals (straordinaria la sequenza in cui s’ode quest’ultima). Magnifici titoli di testa del grande Saul Bass. Ingiustamente dimenticato agli Oscar e moderatamente apprezzato dalla critica (soprattutto italiana), resta uno dei migliori film americani degli anni novanta e uno dei grandi capolavori di Scorsese. Un film epico e grandioso ma anche tenero e intimista, crudele ma sincero. In una parola? Sublime. Qualche mese prima dell’uscita in sala uscì il libro Casino: Love and Honor in Las Vegas, scritto da Pileggi in concomitanza con la sceneggiatura. La storia di Rothstein è ispirata a quella (vera) di Frank Rosenthal (1929 – 2008), che partecipò anche alla lavorazione del film come consulente. Imperdibile.

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