Brazil

(Brazil)

Regia di Terry Gilliam

con Jonathan Pryce (Sam Lowry), Kim Greist (Jill Layton), Robert De Niro (Archibald “Harry” Tuttle), Katherine Helmond (Ida Lowry), Bob Hoskins (Spoor), Michael Palin (Jack Lint), Ian Holm (M. Kurtzmann), Ian Richardson (Mr. Warrenn), Peter Vaughan (Mr. Helpmann), Jim Broadbent (Dr. Jaffe), Barbara Hicks (Alma Terrain), Charles McKeown (Harvey Lime), Jack Purvis (Dr. Chapman).

PAESE: Gran Bretagna 1985
GENERE: Grottesco
DURATA: 132’ (142’)

In un futuro imprecisato governato da disumanità e burocrazia, l’impiegatucolo Sam Lowry accetta una promozione al Dipartimento Informazioni: vuole rintracciare ad ogni costo la bionda terrorista Jill, che appare continuamente nei suoi sogni. Con lei progetterà di fuggire dalla città ma, imprigionato dai suoi stessi ex amici, si limiterà ad immaginare il suo ultimo volo libero.

Terzo film “solista” di Gilliam, regista, sceneggiatore e disegnatore in forza al celeberrimo gruppo dei Monthy Python. Prendendo come riferimento 1984 di George Orwell, il regista centra una delle parabole filmiche più riuscite sui nostri tempi: mette alla berlina la fatua società occidentale con uno spirito dissacratorio senza eguali, capace di prendere ogni singola aberrazione moderna (chirurgia plastica, potere dei media, spersonalizzazione dell’individuo, abominio del potere politico, eccesso di burocrazia) e proiettarla, esasperandola, in un futuro lontano ma concettualmente molto vicino. Col passare degli anni continua ad incrementare il suo valore: gli eccessi mostrati da Gilliam sono usciti dalla gabbia farsesca della finzione e sono diventati terribilmente reali. Proprio come la madre di Lowry – che, a forza di sottoporsi ad interventi chirurgici, è diventata un mostro – la società “civile” si è trasformata in un mostruoso e fagocitante tempio del cattivo gusto in cui le relazioni umane sono state prima sostituite dalla tecnologia, poi azzerate. La preveggenza di Gilliam stupisce ancora oggi, e il suo discorso appare più attuale e coerente che mai: l’uomo è destinato ad essere “assorbito” dalle convenzioni sociali, e non gli resta che sognare una vita “libera” che materialmente non otterrà mai. Ma, oltre ad essere una summa dei temi prediletti del regista, rappresenta anche l’apice visivo della sua poetica, la vetta insuperata del suo cinema anarchico e poco incline alle regole.

Gilliam esaspera il suo eclettismo figurativo, concepito come un post- moderno collage di vecchio e nuovo, alto e basso (in senso culturale), bello e brutto, sublime e kitsch. Il suo è un cinema di contrasti, come dimostra anche la scelta del titolo: Brazil si riferisce a Aquarela do Brasil, la canzoncina che ogni tanto si sente nel film (canticchiata, trasmessa alla radio, extradiegetica) e che, con la sua spensierata ed allegra melodia, va a cozzare con l’atmosfera cupa ed opprimente che aleggia sulla storia. Il sogno – spensierato, allegro – è l’ultima (effimera) arma per affrontare la vita. Il regista concepisce una città che è un mix tra le architetture di Metropolis e l’Art Decò, popolata da una tecnologia in perenne disfacimento (che, invece, ricorda Blade Runner); ma il film è originale per come immagazzina e rilegge una serie infinita di linguaggi cinematografici (come il barocchismo wellesiano nelle scenografie e l’espressionismo tedesco nell’illuminazione) attraverso innovative trovate visive, arguti simbolismi, deliziose citazioni (come quella de La corazzata Potemkin, in cui la famosa carrozzina è sostituita da un aspirapolvere).

Alterna inquadrature sobrie, controllate, piene di particolari, ad altre sghembe, storte, che grazie all’uso del grandangolo mutano il reale e lo rendono grottesco, a volte terribilmente opprimente, a volte suggestivamente poetico (a seconda dei registri narrativi). Gilliam fonde con abilità comico, commedia, dramma, satira, farsa, fantascienza, fantasy, ma la sua forza sta soprattutto nell’impregnare ogni risata e ogni pianto di un malinconico sottostrato funereo che anticipa la morte. Perfetti tutti gli attori, specialmente un irriconoscibile ed autoironico De Niro nel ruolo più bello del film. Fotografia di Roger Pratt, musiche di Michael Kamen, Kate Bush, Ray Cooper. Prodotto da Arnon Milchan, scritto dal regista con Tom Stoppard e Charles McKeown. Il suo radicale pessimismo non l’ha favorito col grande pubblico, ma la critica l’ha apprezzato un po’ in tutto il mondo. Originale, anticonvenzionale, bellissimo.

Uno dei migliori film degli anni ’80.

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