Bowling a Columbine

(Bowling for Columbine)

Regia di Michael Moore

PAESE: Canada, USA 2002
GENERE: Documentario
DURATA: 120′

20 aprile 1999. Eric Harris e Dylan Klebold, studenti diciottenni, entrano alla Columbine High School e fanno fuoco uccidendo dodici compagni e un docente. Terminato il massacro, si uccidono. Terzo documentario di Moore, finora il più riuscito. Il pachidermico filmmaker d’assalto cerca le ragioni di quel massacro intervistando sopravvissuti, patiti delle armi, ma anche personaggi noti come Matt Stone, autore di South Park, Marylin Manson, rocker maledetto e capro espiatorio del disagio giovanile, Charlton Heston, che dal 1998 è membro di spicco dell’NRA, l’associazione che tutela e promuove il possesso delle armi negli States. Il risultato è un film potente e dissacrante, indignato ma lucido nel cercare ardentemente le ragioni che portano un paese – l’America – ad avere 12mila morti all’anno per armi da fuoco. Senza guardare in faccia a nessuno, Moore compie un percorso personale (nella scelta degli intervistati e nel montaggio “connotativo”) ma che arriva a conclusioni provate e difficilmente contestabili: non sono le armi a generare il crimine (anche in Canada si comprano nei minimarket), quanto la paura del crimine stesso, suggerita di soppiatto ad ogni americano dai media e quindi dalle lobby delle armi. Moore è il primo americano a mostrare (e, soprattutto, a teorizzare lucidamente) quel clima di paura e follia sorto dopo l’11 settembre 2001, concepito ad arte per a) tenere sotto controllo il popolo USA [paura=scarsa voglia di ribellarsi al sistema] b) fargli comprare più armi.

Moore frulla spezzoni, servizi televisivi, vecchi film, video presi dalla rete e materiale girato ex novo, in cui senza giudicare affida alle immagini – specchio fedelissimo della realtà – il ruolo di portatrici di senso. Il tutto sormontato da una buona dose di intelligente ironia, sempre azzeccata e mai fuori luogo, e da una carica sovversiva quasi puerile che è prova di sincerità. Forse non tutte le teorie di Moore sono condivisibili in toto (come quando insiste sul fatto che anche altri stati hanno avuto un passato violento e non sono comunque diventati maniaci delle armi), ma il regista di Flint, Michigan, si tiene lontano da qualsiasi demagogia (un fattore che, talvolta giustamente, gli verrà rimproverato spesso per i film successivi). I momenti di canto alto sono parecchi: l’intervista a Marylin Manson, l’intervista a Charlton Heston (che amarezza vederlo finire così, patetico, e incapace di controbattere), la visita di due sopravvissuti della Columbine alla sede centrale della K-Mart (uno dei marchi che vende proiettili a 17 centesimi di dollaro). Un film che andrebbe mostrato nelle scuole, un salutare pugno nello stomaco. La tagline del dvd recitava: “siamo un popolo di maniaci delle armi o semplicemente dei folli?”. Allo spettatore, l’ardua sentenza. Oscar 2003 per il miglior documentario.

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