BlacKkKlansman

(BlacKkKlansman)

Regia di Spike Lee

con John David Washington (detective Ron Stallworth), Adam Driver (detective Flip Zimmerman), Laura Harrier (Patrice Dumas), Topher Grace (David Duke), Jasper Paakkonen (Felix Kendrickson), Ryan Eggold (Walter Breachway), Paul Walter Hauser (Ivanhoe), Ashlie Atkinson (Connie Kendrickson).

PAESE: USA 2018
GENERE: Biografico
DURATA: 135′

Storia – tanto incredibile quanto vera – del poliziotto afroamericano Ron Stallworth, che nel 1979 riuscì ad infiltrarsi, per interposta persona (alle riunioni mandava un collega bianco), all’interno del Ku Klux Klan, arrivando addirittura a diventare uno dei capi sezione…

Dal romanzo autobiografico di Stallworth, adattato dal regista con David Rabinowitz, Charlie Wachtel, Kevin Willmott. È forse il film di Lee più classico nello stile e lineare nell’andatura, quasi totalmente privo (se si esclude una delle ultime inquadrature) delle consuete incursioni nel grottesco e nell’onirico ma tremendamente lucido nell’analisi e nel collegamento all’attualità, ribadito – se mai ce ne fosse stato bisogno – dalle ultime inquadrature prese dalla cronaca in cui si denuncia senza paura il silenzio complice del presidente Trump verso gli ultimi attentati di matrice razzista e neonazista. Con coraggio e irriverenza, Lee è anche uno dei primi cineasti USA a schierarsi contro David Wark Griffith, pioniere del cinema che col suo Nascita di una nazione (1915) contribuì a creare un alone mitico (e romantico) attorno al Klan. Tuttavia, consapevolmente o meno, cita due delle più celebri invenzioni formali dello stesso Griffith, il montaggio alternato del sottofinale (memorabile, con un cameo da brividi del cantante Harry Belafonte, classe 1927) e il finale con salvataggio all’ultimo minuto (convenzionale, anche perché arriva dopo la parte più debole del film – ovvero la svolta thriller dell’ultima mezz’ora). Arguta provocazione o madornale autogol? Quale che sia la risposta, è efficace. Così come è efficace la scelta di tratteggiare cattivi privi di qualsivoglia maledettismo, caricature di sé stessi che ben incarnano la banalità/mediocrità del male. E come dimostra la telefonata finale di Ron e colleghi uno dei modi migliori per renderli innocui è irriderli, farli sentire gli stupidi che di fatto sono. Sempre grande Lee nell’orchestrare con disinvoltura i cambi di registro dallo humor nero alla compassione, dal riso al dramma. Cameo iniziale di Alec Baldwin. Prezioso montaggio di Barry Alexander Brown e funzionale musica di Terence Blanchard. Ottimo Washington ma strepitoso Driver: la maturazione del suo personaggio è una delle cose più interessanti del film. Prodotto da Jordan Peele, già autore del notevole Scappa – Get Out su un tema analogo. Un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.

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