Bastardi senza gloria

(Inglourious Basterds)

Regia di Quentin Tarantino

con Brad Pitt (tenente Aldo Raine), Christoph Waltz (colonnello Hans Landa), Mélanie Laurent (Shosanna Dreyfuss), Eli Roth (Donnie Donowitz), Michael Fassbender (tenente Archie Hicox), Diane Kruger (Bridget von Hammersmark), Daniel Brühl (Frederick Zoller), Til Schweiger (sergente Hugo Stiglitz), B. J. Novak (soldato Utivich), Richard Sammel (sergente Werner Rachtman), Jacky Ido (Marcel), Mike Myers (generale Ed Fenech), Gedeon Burkhard (sergente Wicki), Julie Dreyfus (Francesca Mondino), Martin Wuttke (Adolf Hitler), Rod Taylor (Winston Churchill).

PAESE: USA 2009
GENERE: Guerra
DURATA: 146’

Nella Francia occupata dai nazisti, Shosanna Dreyfuss è l’unica supersite dello sterminio della sua famiglia per mano del bieco colonnello Hans Landa, soprannominato “il cacciatore di ebrei”. Intanto, una squadra di ebrei americani guidata dal tenente Aldo Raine viene paracadutata in zona di guerra con un solo obbiettivo: uccidere – e, se possibile, fare lo scalpo – a tutti i soldati nazisti che trovano sulla loro strada. Le due linee narrative sono destinate ad incontrarsi nel cinema parigino in cui viene proiettato Orgoglio di una nazione, film di propaganda che avrà tra gli spettatori niente meno che Joseph Goebbels e, forse, Adolf Hitler…

Con Kill Bill Tarantino aveva creato un universo filmico personale che accantonava le leggi fisiche e morali della realtà in nome del puro intrattenimento cinefilo. Con Inglourious Basterds, suo settimo film da regista e sceneggiatore, finto remake di un dimenticabile film di Enzo G. Castellari del 1978 che uscì nei paesi anglofoni col titolo Inglorious Bastards, dimostra che quell’universo può fare a meno della Storia: prende la seconda guerra mondiale, la svuota del suo significato “storico” e gliene attribuisce uno che è soltanto “cinematografico”. Per Tarantino le schermaglie tra americani e nazisti non sono che “materiale filmico ad alto potenziale”: non è un caso che l’esplosivo finale abbia luogo in un cinema, dove centinaia di chilometri di pellicole bruciano e distruggono tutto, come se, finito il film (che è effimero per eccellenza) non resti che cancellarne le tracce per cercare una nuova storia. Le vicende del film sono prive di qualsiasi valore storico, sociale, politico, antropologico: contano solo come intrattenimento. Scelta discutibile? Forse, ma di gran fascino. È per questi motivi che le polemiche “ideologiche” riguardanti il film (giudicato “reazionario”) perdono di senso: non ci sono veri ebrei, non ci sono veri nazisti né veri soldati americani, ci sono solo attori che interpretano una parte. “Siamo tutti un po’ attori”, dice il soldato Donowitz (interpretato, guarda caso, da un regista), ed è lì che risiede il senso del film. L’universo tarantiniano non ha verosimiglianza storica, è squisitamente amorale – i suoi film non hanno mai un messaggio – ma maledettamente divertente. Si può ridere su una tragedia come l’olocausto? No, assolutamente. Ma se quella tragedia viene spogliata di qualsiasi senso che non sia quello filmico, allora l’operazione di Tarantino si può considerare assolutamente legittima. Fin qui, gli aspetti concettuali.

Per quanto riguarda i temi il film è, come Kill Bill, la storia di una vendetta al femminile: non a caso l’unico personaggio ripreso in modo “epico” è l’implacabile e dolce Shosanna, mentre i maschietti fanno tappezzeria e si scannano tra di loro come bambini. Chi critica Tarantino di fare un cinema vuoto dovrebbe ricredersi osservando il trattamento che i bastardi riservano ai nazisti: quando questi affermano che, finita la guerra, bruceranno la divisa, Raine gli incide una svastica sulla fronte perché tutti conoscano il loro passato. Il film somma senza pudore omaggi e citazioni, molti dei quali tutti “italiani” – per citarne qualcuno: Donowitz sotto copertura si chiama Antonio Margheriti, come uno dei padri del b- movie italiano prediletti da Tarantino; il generale alleato si chiama Ed Fenech, chiaro riferimento a una delle attrici preferite del regista, Edwige Fenech; viene citato lo “stallo alla messicana” tipico degli spaghetti western; il nome Hugo Stiglitz era quello di un attore feticcio di Umberto Lenzi – ma Tarantino colpisce di più quando dimostra di amare il cinema piuttosto che quando si impegna a fare il cinefilo. Al di là della citazione iniziale, bellissima, di Sentieri Selvaggi, Tarantino rilegge i generi americani (western, horror, melò, noir, war movie, action) e sceglie una regia mimetica che li mescola come tessere di un puzzle; infrange la quarta parete accantonando il realismo scenografico (la macchina da presa mostra spesso il set), si permette cambi di registro vorticosi che alternano scene calme e riflessive ad altre frenetiche e più dinamiche, emula con riverenza diversi stili, dal cinema francese a John Ford e Howard Hawks, dal b- movie italiano a Georg Wilhelm Pabst. Curiosità: non c’è praticamente nessuna soggettiva, e questo non fa che favorire la totale assenza di identificazione tra spettatori e personaggi.

Le citazioni non si fermano alla visione, e spesso sono sonore: c’è molto Morricone e molte colonne sonore di altri film (una viene addirittura da Kill Bill vol. 2), e il risultato è funzionale alla storia; così come il melting pot linguistico (inglese, americano, italiano, tedesco, francese), che lo rende un film ricco di sfaccettature a livello sonoro e per questo non doppiabile. Strepitoso Brad Pitt, ma la scena gliela rubano più di una volta l’austriaco Waltz – premiato con l’Oscar – e la bellissima giovane attrice francese Laurent. Montaggio e fotografia straordinari, frutto del lavoro di – rispettivamente – Sally Menke e Robert Richardson. Comparsate di Tarantino (il primo soldato scalpato) e Castellari (un regista alla premiere), ma non mancano due “camei vocali” di lusso: Samuel L. Jackson è il narratore, Harvey Keitel il generale americano che parla al telefono con Raine nel prefinale. Molti lo giudicano il film migliore di Tarantino, e il regista stesso sembra più che mai fiero del proprio lavoro: nell’ultima inquadratura il tenente Raine, guardando in macchina e riferendosi all’ultima svastica incisa, dice “credo proprio questo che sia il mio capolavoro”. Non è forse Tarantino a parlare? Sicuramente è l’opera più matura per comprendere la sua poetica, ma secondo noi, al primo posto, resta comunque Pulp Fiction. Un film comunque da non perdere, unico nella storia del cinema. Forse perché parla DEL cinema, prima che di qualunque altra cosa.

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8 risposte a Bastardi senza gloria

  1. giorgio scrive:

    a chi pensi sia ispirato il personaggio di Bridget von Hammersmark interpretato da diane kruger?

  2. nehovistecose scrive:

    Ammetto la mia ignoranza in materia, comunque penso Marlene Dietrich!

  3. giorgio scrive:

    ottimo!

  4. giulio scrive:

    sì sì, inglorius basterds è il suo capolavoro!!! sono entusiasta di averlo visto. a parte la scena di aldo raine che fa la svastica come non ricordare l’orso ebreo con la mazza da baseball!!!
    bellissimo film. oltre a questo c’è anche pulp fiction che lo metto nella bacheca dei miei film preferiti!!!!!

  5. nehovistecose scrive:

    Grazie per il commento Giulio! credo che il duello tra Pulp Fiction e Bastardi senza gloria sia infinito…due grandissimi film!:-)

  6. antonello scrive:

    ‘E secondo me un capolavoro.
    Attreverso un grande “cinema” , Mi chiedo se non possa o se non voglia dirci qualcosa sul “media Cinema”, di come possa essere utilizzato come mezzo di propaganda, di come possa essere essre utilizzato per riscrivere la Storia, e/o di come possa essere cancellata la memoria (vedi pellicole bruciate da cui la protagonista si vendica); o quindi , forse, di come sia importante continuare a fare film che mantengano il ricordo dell’olocausto.

  7. naso scrive:

    Un americanata, inutile, insensato, vuoto, di parte, senza profondità di nessun tipo… proprio come scritto nella recensione: solo divertimento scenico e fantastico.

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