Amarcord

Regia di Federico FelliniPoster francese

con Bruno Zanin (Titta), Armando Brancia (Aurelio, il padre di Titta), Pupella Maggio (Miranda, la madre di Titta), Giuseppe Ianigro (il nonno), Nando Orfei (il Patacca, lo zio di Titta), Ciccio Ingrassia (lo zio Teo), Magali Noel (la Gradisca), Stefano Proietti (Oliva, il fratello di Titta), Donatella Gambini (Aldina), Antonino Faà di Bruno (il conte di Lovignano), Maria Antonietta Beluzzi (la tabaccaia), Alvaro Vitali (Naso).

PAESE: Francia, Italia 1973
GENERE: Commedia
DURATA: 118’

Rimini, 1932. Attraverso gli occhi del giovane Titta, uno scorcio della vita nel borgo di San Giuliano: dalle parate fasciste al passaggio del transatlantico Rex, fino al matrimonio della Gradisca con un carabiniere che la porta “nella città”…

Scena del film

Scritto dal regista con Tonino Guerra, il 12esimo (e ½) film di Fellini fu uno dei suoi più grandi successi di pubblico, regalò al riminese il quarto Oscar per il miglior film straniero e venne stroncato dalla critica che, ancora oggi, lo considera un Fellini minore. Secondo noi è uno dei migliori in assoluto. Non si dovrebbero fare congetture personali all’interno di una recensione, ma è probabile che per capire la grandezza di un film come questo si debba condividere con Fellini la provenienza dal borg, dal paesino, da quelle piccole realtà locali che – chi vi è nato lo sa molto bene – restano in testa (e nel cuore) anche quando si va via. “Un paese ci vuole”, diceva Cesare Pavese, “non fosse che per il gusto di andarsene via”: è questo il senso di Amarcord (titolo derivante per composizione dall’espressione in dialetto romagnolo “a m’arcord”, ossia “io mi ricordo”, divenuta espressione corrente), il film è forse il più autobiografico di Fellini (che si proietta nel personaggio del Titta), ma anche quello più malinconico e allo stesso tempo divertito. La maggior parte della critica ha confuso la rievocazione con la nostalgia, senza accorgersi che la nostalgia di Fellini non è per un periodo storico definito legato alla sua infanzia (la sequenza dell’interrogatorio fascista è li a dimostrarlo), quanto per un periodo “umano”, fatto di giornate passate a fare a palle di neve e serate a chiacchierare al bar del paese, un periodo fatto di piccole cose che scaldavano il cuore più di ogni altre e che rivive nel ricordo, nel “mi ricordo” del regista e di molti italiani.

Scena del film

L’occhio del regista non giudica, non spezza lance in favore della campagna come un Celentano cinematografico, non pretende di avere in tasca la verità su ciò che è bene e ciò che è male; auspica, piuttosto, l’importanza del ricordo, del SUO ricordo e del NOSTRO ricordo, che condiviso o meno è il succo dell’esistenza di tutti noi e ci permette di tornare indietro a quando il mondo sembrava un posto meno difficile, non perché lo fosse ma perché lo guardavamo con occhi diversi, forse puri. Amarcord è un sogno ad occhi aperti, in cui le leggi del mondo lasciano il posto a quelle del sentimento: i personaggi infrangono la quarta parete, parlano direttamente con lo spettatore, come se Fellini volesse sottolineare la democraticità dell’opera, che è di tutti e non soltanto sua. Dopo un avvio molto divertente ed ironico, i momenti di canto alto sono parecchi: la danza al Grand Hotel, il saluto al transatlantico Rex, l’incontro di Oliva col “mostro” nella nebbia, la nevicata, il volo del pavone, il matrimonio della Gradisca. Ricostruita in studio, Rimini non è mai stata così vera, e le sequenze oniriche, più che ricercate a tavolino, sono suggerite dalla memoria, dalle sensazioni, dalle emozioni di chi si riconosce in quelle storie e in quei personaggi. Fellini ci mette dentro tutto ciò che è “esistenza”: l’amore, le amicizie, i sogni. La morte.

Scena del film

Senza piangersi addosso, dipinge un microcosmo lirico più attuale che mai, in cui si proiettano riflessioni filosofiche che vanno ben al di là del semplice omaggio alle comunità rurali. Più che da vedere, è un film da guardare. Memorabile Ingrassia nel ruolo dello zio matto che si arrampica su un albero e, rifiutandosi di scendere, grida continuamente “voglio una donna!”. La dolce vita era una prosa sugli abomini del mondo, Amarcord è una poesia SUL mondo. Fotografia impeccabile di Giuseppe Rotunno, musiche – entrate nella storia – del fedele Nino Rota. Un film imperdibile.

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