Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà

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Regia di Peter Hunt

con George Lazenby (James Bond), Diana Rigg (Tracy), Telly Savalas (Ernst Stavro Blofeld), Gabriele Ferzetti (Marc-Ange Draco), Ilse Steppat (Irma Bunt), Lois Maxwell (Miss Moneypenny), Bernard Lee (M), Desmond Llewelyn (Q), George Baker (Sir Hilary Bray), Bernard Horsfall (Campbell).

PAESE: GB 1969
GENERE: Spionaggio
DURATA: 142′

Innamoratosi di una contessina tormentata, James Bond sfrutta le conoscenze del di lei padre, gangster di media levatura, per arrivare al perfido Blofeld, numero uno della SPECTRE, nascosto in un rifugio svizzero dove esperimenta virus letali per ricattare il mondo…

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Sesto Bond, il primo senza Sean Connery che abbandonò la saga per timore di restare imprigionato nel personaggio. Tratto da un romanzo di Fleming ambientato PRIMA di Si vive solo due volte, del quale è dunque un prequel (infatti 007 e Blofeld non si riconoscono, nonostante si fossero già visti proprio nel film precedente), è uno dei film più sottovalutati della saga, se non altro perché i fan piansero l’abbandono di Connery. In realtà è anche uno dei migliori: Bond cessa di essere una maschera imperturbabile diventando più umano e sfaccettato (meno gadget, più cervello), la struttura narrativa si fa più complessa e inaspettata evitando di ricalcare quella degli episodi precedenti, l’azione è da manuale e la suspense tangibile. E che dire del finale, forse il più amaro della serie, senz’altro il meno vittorioso o scontato. Ironico, brillante, pieno di divertenti guizzi meta-cinematografici (memorabili le prime parole di Bond che, riferendosi al rifiuto di una ragazza, esclama rivolto allo spettatore “questo non era mai successo a quello di prima!”), ma anche di audaci allusioni erotiche (quando una donna gli tocca una gamba sotto al tavolo e la sua espressione si fa sbarazzina, Bond esclama “ho solo una leggera rigidità alle membra”).

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Molte le sequenze memorabili, quasi tutte condensate nei 40′ in cui Bond fugge dal ristorante Piz Gloria: la reclusione nel motore della teleferica (strepitoso il lavoro scenografico di Syd Cain), il salto su una di esse, la fuga con gli sci, quella in auto con tappa su un circuito da rally, quella a piedi che termina sotto una valanga. Un unico difetto, e non da poco: è davvero troppo, troppo lungo. La canzone dei titoli, che ripercorrono le vicende dei cinque film precedenti, è composta da John Barry ed è una delle poche priva di parte cantata. Divenne molto più nota quella finale, We have all time in this world (sono le ultime parole del film), cantata nientemeno che da Louis Armstrong. La regia di Hunt, già montatore dei primi quattro e aiuto regista del quinto, ha il difetto di abbondare un po’ troppo con gli zoom (un tempo molto di moda, oggi molto datati), ma anche il pregio di essere scattante e ritmata, soprattutto nelle mirabolanti scene d’azione, tra le migliori della serie. L’australiano Lazenby, tanto criticato, da invece realismo e solidità al suo Bond. Nonostante questo, i fan storici storsero il naso, e alla fine Connery tornò ancora una volta, strapagato, nel successivo Una cascata di diamanti (1971).

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