L’uomo del labirinto

Regia di Donato Carrisi

con Toni Servillo (Bruno Genko), Dustin Hoffman (dottor Green), Valentina Bellè (Samantha), Vinicio Marchioni (Simon Berish), Luis Gnecco (Mordecai Lumann), Sergio Grossini (Peter Lai), Caterina Shulha (Linda), Riccardo Cicogna (Paul Macinsky), Orlando Cinque (Bauer), Filippo Dini (Delacrox), Carla Cassola (signora Wilson).

PAESE: Italia 2019
GENERE: Thriller
DURATA: 130′

Quindici anni dopo essere scomparsa senza lasciare traccia, una ragazza viene ritrovata, scioccata e senza memoria, in un bosco. Mentre in ospedale il dottor Green la aiuta a ricordare, il detective Bruno Genko, ai tempi della scomparsa ingaggiato dalla famiglia della ragazza, indaga personalmente sulla vicenda. Il colpevole sembra essere uno psicopatico che ama celarsi sotto una maschera da coniglio…

Secondo film di Carrisi, che adatta un suo romanzo omonimo (2017) come già aveva fatto con il precedente La ragazza nella nebbia. Il risultato è un giallo a enigma torbido, destabilizzante, con una suggestiva ambientazione sui generis molto diversa da quelle cui ci ha abituato il cinema horror/poliziesco made in Italy: la storia si svolge infatti in un luogo fosco e imprecisato, privo di punti di riferimento e proiettato in un’epoca (futura? passata?) allucinata e in via di disfacimento, d’ispirazione lovecraftiana (le paludi in cui si svolge parte della vicenda paiono quelle delle periferie della Louisiana viste in True detective) e prossima ad un imminente apocalisse (come sembrano sottolineare i cieli rosso sangue e i molti incendi che funestano la zona). Un luogo che ben racconta il disfacimento morale di un’umanità reietta che non merita (forse) di essere salvata. Colpi di scena ben orchestrati, personaggi memorabili (anche se alcuni sono fin troppo caricati) e un finale che, pur non riuscendo a diventare un apologo universale sul male come vorrebbe, spiazza e lascia il segno. Dura due ore e dieci, eppure la tensione non cala mai. Il merito non è soltanto del Carrisi scrittore/sceneggiatore ma anche del Carrisi regista, abile a dirigere gli attori (ottime prove del solito Servillo, alle prese con l’ennesimo loser sconfitto su tutta la linea, di Hoffman – ben doppiato da Giorgio Lopez – e soprattutto della giovane Bellè, con una performance che regala parecchi picchi inquietanti) e ad orchestrare in maniera ineccepibile e mai banale la suspense. Non si offendano i registi che nascono tali, ma lo stile visivo di Carrisi è quello di un cineasta di razza. Finale poco credibile? Può darsi, ma che legnata. Grande fotografia di Federico Masiero. Da vedere.

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