Mindhunter – Stagione 2

(Mindhunter)

Regia di registi vari

con Jonathan Groff (Holden Ford), Holt McCallany (Bill Tench), Anna Torv (Wendy Carr), Joe Tuttle (Gregg Smith), Stacey Roca (Nancy Tench), Albert Jones (Jim Barney), Michael Cerveris (Ted Gunn), Lauren Glazier (Kay Mason), Nate Corddry (detective Spencer), Damon Herriman (Charles Manson), Cotter Smith (Shepard), Christopher Livingston (Wayne Williams), Cameron Britton (Ed Kemper).

PAESE: USA 2019
GENERE: Giallo
DURATA: 9 episodi da 50′ – 75′

Mentre Holden si sta riprendendo dal crollo psicofisico avuto dopo l’ultimo incontro con Kemper, Bill fa la conoscenza del nuovo vice-direttore Ted Gunn, che a differenza del suo predecessore sembra credere fortemente nella divisione di scienze comportamentali. Tornato in servizio, Holden vorrebbe continuare i colloqui con gli assassini in carcere, ma l’unità viene mandata ad Atlanta per aiutare la polizia ad acciuffare un assassino seriale che sta uccidendo bambini di colore. I colloqui vengono quindi affrontati da Wendy con l’agente Smith, senza però ottenere gli stessi risultati di Holden e Bill…

Seconda stagione della serie Netflix ispirata al libro e agli studi di Mark Olshaker e John E. Douglas (quest’ultimo, al quale è ispirata la figura di Ford, è stato uno dei primi profiler dell’FBI), ancora una volta ideata da Joe Penhall e prodotta tra gli altri da Charlize Theron e David Fincher (che ha diretto anche gli episodi 1,2,3). Rispetto alla prima stagione, meno colloqui in carcere (anche se i pochi che si vedono sono decisamente significativi: l’unità conosce Manson e il figlio di Sam) e più interventi sul campo, scelta premiante perchè va a cancellare uno dei (pochi) difetti del primo capitolo, la staticità. Così come è azzeccata la scelta di sacrificare lo spazio dedicato a Ford per concentrarsi su Wendy (e sulla sua celata omosessualità) e sopratutto su Bill, il vero protagonista di questa seconda stagione: il fatto che il figlio (adottivo) Brian sia coinvolto in un fatto di sangue è sicuramente una forzatura (proprio il figlio di un profiler?), ma la trovata rende più complesso il suo personaggio e allo stesso tempo propone una serie di riflessioni non banali su dove alberghi il male, se è già dentro di noi o se sono interventi esterni (anche soltanto l’educazione ricevuta) a farlo proliferare. Ma i pregi sono moltissimi: tratta in maniera sobria e rigorosa una materia complessa riuscendo a non sbracare, come accade alla stragrande maggioranza dei prodotti coevi, nel facile sensazionalismo e nella retorica; opta per una costruzione narrativa lontana dagli stereotipi hollywoodiani eppure capace di coinvolgere ed emozionare (magistrale il lavoro sulle psicologie di TUTTI i personaggi); costruisce la suspense in maniera non canonica (si pensi alla scena del posizionamento della croce davanti alla chiesa) eppure efficacissima.

E che dire dell’amaro finale? L’assassino viene catturato, ma pare non esserci molto da festeggiare, soprattutto per quanto riguarda la sfera privata dei protagonisti: insomma, siamo lontanissimi dal lieto fine e dal senso di vittoria che spesso contraddistinguono il giallo televisivo. Nel ricostruire con fedeltà l’ennesimo caso di serial killer “realmente esistito” (stavolta si parla degli omicidi di Atlanta del biennio 1979 – 1981) sfiora temi “caldi” (e decisamente attuali) come le tensioni razziali, gli intrallazzi politici che piegano le indagini, la burocrazia elefantiaca e opprimente. La straordinaria (e spesso inquietante) atmosfera notturna e fumosa, da noir d’annata, poggia sulla memorabile fotografia di Erik Messerschmidt e su un disturbante sound design curato da Jason Hill. Il personaggio di Cerveris – che aveva già recitato con la Torv in Fringe – si rivela un’ottima new entry. Gli episodi non firmati da Fincher sono diretti da Andrew Dominik (4,5) e Carl Franklin (6,7,8,9). A sorpresa, la produzione di una terza stagione è stata per ora sospesa.  Imperdibile.

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