Non odiare

Regia di Mauro Mancini

con Alessandro Gassman (Simone Segre), Sara Serraiocco (Marica Minervini), Luka Zunic (Marcello Minervini), Lorenzo Buonora (Paolo Minervini), Lorenzo Acquaviva (Rocco), Gabriele Sangrigoli (Dario), Cosimo Fusco (il padre di Simone), Gabriele Sangrigoli (Paolo), Antonio Scarpa (l’agente di polizia), Paolo Giovannucci (il collega di Simone).

PAESE: Italia, Polonia 2020
GENERE: Drammatico
DURATA: 96′

Stimato chirurgo di origine ebraica, figlio di un superstite dell’Olocausto, Simone è unico testimone di un incidente automobilistico su una strada di provincia. Quando scopre che il ferito ha una svastica tatuata sul petto, si rifiuta di soccorrerlo, condannandolo a morte. In preda al senso di colpa, avvicina i figli del defunto (27, 17 e 9 anni) e, senza raccontare l’accaduto, tenta di aiutarli a superare il momento difficile…

Esordio di Mancini, anche sceneggiatore insieme a Davide Lisino, con una storia ispirata ad un fatto vero, accaduto a Paderborn, Germania, dove un chirurgo ebreo si rifiutò di operare un uomo con un tatuaggio nazista. Il film si concentra su due figli feriti, ideologicamente contrapposti (uno ebreo, l’altro neonazista) e appartenenti a estrazioni sociali diversissime (Simone alto borghese, Marcello ai limiti della povertà) ma accomunati dall’aver avuto padri difficili, ingombranti, incattiviti dalla vita e da retroterra dolorosi. A mediare tra questi due mondi antitetici ma imbevuti dello stesso odio c’è Marika, primogenita del defunto, che arbitra il “duello” utilizzando l’arma del buonsenso. Nel scegliere di privilegiare i silenzi, gli sguardi, i gesti piuttosto che le parole, Mancini punta all’essenzialità per dipingere una parabola universale sul dolore e su quanto sia difficile scegliere di essere diversi dai propri padri, spesso cattivi maestri anche quando la Storia li riconosce come buoni (il padre di Simone). Il rifiuto del manicheismo tra buoni e cattivi gli fa onore, ma nel gioco delle similitudini tra Simone e Marcello rischia troppo spesso di mettere sullo stesso piano la rabbia del primo verso i nazisti (più che legittima) con l’odio del secondo verso gli ebrei (totalmente insensato).

Questi i limiti “ideologici”, cui si accostano quelli di scrittura: non ci è piaciuta la svolta “sentimentale” della storia (era davvero necessaria?), così come ci ha fatto storcere il naso il fatto che alla fine la catarsi di Simone arrivi in maniera un pò troppo meccanica, con tutte le tessere del puzzle che vanno magicamente al loro posto grazie ad un nuovo fatto di sangue. Rimane comunque un buon film, magari da mostrare nelle scuole, anche perchè il finale ci insegna che, proprio come il cane aggressivo del padre di Simone, anche l’odio è un qualcosa che si può addomesticare, curare, rendere inoffensivo. Ottima prova di Gassmann in un ruolo lontano dai suoi canoni, ma non gli sono da meno la Serraiocco e l’esordiente Zunic. Un altro merito di Mancini è quello di averli saputi dirigere in maniera ineccepibile, trasformando i loro corpi in simulacri dei loro stati d’animo. Girato a Trieste, in location inedite quanto suggestive, ben fotografate da Mike Stern Sterzynski. Presentato alla Settimana internazionale della critica a Venezia 2020, dove ha ottenuto parecchi apprezzamenti.

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