Richard Jewell

(Richard Jewell)

Regia di Clint Eastwood

con Paul Walter Hauser (Richard Jewell), Sam Rockwell (Watson Bryant), Kathy Bates (Barbara Jewell), Jon Hamm (Tom Shaw), Olivia Wilde (Kathy Scruggs), Dylan Kussman (Bruce Hughes), Mike Pniewski (Brandon Hamm), Nina Arianda (Nadya), Eric Mendenhall (Eric Rudolph).

PAESE: USA 2019
GENERE: Drammatico
DURATA: 129′

Richard Jewell, aspirante poliziotto dalla cieca fiducia nelle istituzioni e nella giustizia, viene allontanato da diversi posti di lavoro a causa dei suoi eccessi di zelo. Addetto alla sicurezza durante le Olimpiadi estive di Atlanta, nel 1996, balza agli onori della cronaca perché, per primo, scopre l’esistenza di uno zaino contenente tre bombe, contribuendo a mettere in sicurezza l’area e salvando la vita a diverse persone (l’esplosione provocherà comunque due morti e 111 feriti). Nel giro di tre giorni passa da eroe nazionale a principale sospettato dell’FBI, finendo vittima di un vero e proprio linciaggio mediatico da parte della stampa e della televisione. Difeso dal piccolo avvocato Watson Bryant e sostenuto dalla madre Bobi, non verrà mai ufficialmente accusato ma passerà 88 giorni d’inferno, che lasceranno un segno indelebile sulla sua vita lavorativa e sulla sua salute.

Scritto da Billy Ray, che ha preso spunto da un articolo della giornalista investigativa Marie Brenner, il 39esimo film di Eastwood è, come il precedente Sully, un elogio all’eroismo dell’uomo comune, quello che fa la cosa giusta semplicemente perchè la ritiene tale, senza starci troppo a pensare, non per sè stesso ma per il bene comune. Non solo: di una filmografia che ha sempre raccontato gli abomini dei media e del potere (e quanto le due realtà fossero spesso collegate), Richard Jewell è probabilmente l’opera più rabbiosa e sconsolata, nella quale enti governativi e carta stampata vengono rappresentati come il male assoluto, deboli coi forti e forti coi deboli, spregevoli nel loro dover sempre trovare un capro espiatorio, meglio se grassottello, ingenuo, un pò strambo, insomma uno sfigato come il povero Richard. Tanto non c’è nessuno (o quasi) a prendersi la briga di difenderlo. Manicheo? Forse, ma nel film c’è davvero poco di inventato, e nonostante qualche caduta di stile, soprattutto in merito al personaggio della giornalista Kathy Scruggs (mancata nel 2001 e, dunque, impossibilitata a difendersi dalle accuse – pesanti – che il film muove verso la sua persona), il messaggio arriva forte, chiaro, lucido come non mai. Anche perchè Clint evita (stavolta sì, grazie a Dio) la retorica di alcuni dei film precedenti (American Sniper su tutti) per puntare a un umanesimo sincero e ricco di pietas che riflette ancora una volta la sua idea di un’americanità popolare e genuina, certo non incarnata dall’FBI (ovvero dal governo) né dai media (già impuniti spacciatori di fake news) ma da un gruppo di losers che, nonostante i loro evidenti limiti, sanno ancora distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Eastwood resta un regista di delicatezza e sobrietà uniche, classico eppure modernissimo nell’alternare i registri, dal thriller a suspense (la scena della bomba) alla commedia (memorabili i battibecchi tra Richard e Watson), dal poliziesco (le indagini dei federali) al melodramma (le scene con la madre),e tutto questo senza mai perdere di vista il flusso del racconto: dura due ore e dieci, non c’è una sola scena d’azione, eppure non c’è un attimo in cui il ritmo si affievolisca. E che dire della direzione degli attori? Il trio di testa è semplicemente perfetto. Ottima anche la fotografia di Yves Belanger. Musiche di Arturo Sandoval. Il buon Richard, amante delle armi e dell’ordine costituito, se fosse stato ancora vivo (è mancato nel 2007, a soli 44 anni, per complicazioni dovute al diabete) avrebbe probabilmente votato Trump, ma guardando il film viene da pensare che Eastwood, forse, non lo voterebbe più. Secondo molti il flop al botteghino (raro per un film di Eastwood) è stato causato dalle proteste per il trattamento riservato alla Scruggs, ma è legittimo pensare che il caso Jewell sia per gli USA una ferita ancora aperta perchè, in maniera affatto velata, rappresenta la fallibilità di un sistema che adora sentirsi infallibile. Una sola candidatura agli Oscar (Kathy Bates).

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