American Beauty

(American Beauty)

Regia di Sam Mendes

con Kevin Spacey (Lester Burnham), Annette Bening (Carolyn Burnham), Thora Birch (Jane Burnham), Wes Bentley (Ricky Fitts), Mena Suvari (Angela Hayes), Chris Cooper (Colonnello Frank Fitts), Peter Gallagher (Buddy Kane), Allison Janney (Barbara Fitts), Scott Bakula (Jim Olmeyer).

PAESE: USA 1999
GENERE: Drammatico
DURATA: 121′

Impiegato frustrato, sposo annoiato e padre assente, il quarantenne Lester Burnham perde la testa per un’adolescente, compagna di classe della figlia. L’inaspettato innamoramento lo rinvigorisce sia a livello fisico che mentale, ma il destino (nei panni di un vicino di casa) è dietro l’angolo per mescolare nuovamente le carte…

Scritto da Alan Ball, il primo film di Mendes è un’apologo sulla frustrazione (soprattutto sessuale) dell’americano medio che racconta quanto, più che cattivi, siamo tutti quanti esseri soli e incompresi, addestrati al culto del successo ma obbligati a nascondere la nostra vera natura. Comincia come una commedia di costume, vira pesantemente sul grottesco (La guerra dei Roses non è lontano) e, proprio quando sembra approdare a un finale tutto sommato lieto, finisce in tragedia. Come accadeva in Viale del tramonto (1950) di Wilder, la voce fuori campo del protagonista preannuncia la propria morte alla fine della storia. Tutto il film è il racconto di come ci si arriva. Film geniale o insopportabilmente kitsch? Necessario, o troppo programmatico per apparire sincero? Critica e pubblico restano ancora oggi divisi. Sicuramente è fin troppo didascalico nei risvolti filosofici (siamo tutti come buste portate dal vento) e negli spunti sociali (dietro ogni persona spavalda ce n’è una fragile ed insicura), ma sarebbe pretestuoso non apprezzarne la potenza allusiva. Lo stile teatraleggiante di Mendes, in parte colpevole di uscire poco dalle villette borghesi a scapito della descrizione del contesto, si rivela in realtà efficace nel tratteggiare il senso di opprimenza che respirano TUTTI i personaggi del film. E se la scelta di illuminarli come fossero attori su un palcoscenico (i loro volti sono spesso contrastati, con una forte luce puntata sugli occhi) può apparire ridondante, il discorso sui limiti del racconto video (e dunque anche del cinema), incarnato dal personaggio di Ricky che filma la realtà per comprenderla meglio ma finisce col travisarla agli occhi dello spettatore occasionale (in questo caso il padre), è invece originale ed altamente metaforico. Il vero senso del film è probabilmente nel titolo: abbiamo davvero perso il senso della bellezza. Il sogno erotico di Lester, con Mena Suvari che rievoca i celebri scatti di Marilyn Monroe tra i petali di rosa, è entrato nell’immaginario cinematografico moderno. Ben cinque premi Oscar “importanti”: film, regia, attore protagonista (Spacey), sceneggiatura originale e fotografia (Conrad L. Hall).

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