L’uomo che uccise Don Chisciotte

(The Man Who Quilled Don Quixote)

Regia di Terry Gilliam

con Adam Driver (Toby Grisoni), Jonathan Price (Javier Sanchez), Joana Ribeiro (Angelica), Stellan Skarsgaard (Il capo), Olga Kurylenko (Jacqui), Jason Watkins (Rupert), Oscar Jaenada (il gitano), Jordi Mollà (Alexei Miskin), Paloma Bloyd (Melissa).

PAESE: Gran Bretagna, Spagna, Francia, Portogallo, Belgio 2018
GENERE: Avventura
DURATA: 132′

Mentre sta girando uno spot in Spagna a tema Don Chisciotte, il regista Toby Grisoni mette le mani sul DVD di un suo vecchio film dimenticato dal titolo L’uomo che uccise Don Chisciotte. Per evadere dall’asfissia della produzione televisiva va alla ricerca di Javier, il ciabattino che dieci anni prima fu protagonista della pellicola, ma lo trova completamente impazzito e convinto di essere il vero Chisciotte. Non solo: convinto che Toby sia Sancho Panza, lo trascina in una folle avventura attraverso la Spagna rurale e desolata…

Liberamente ispirato al celeberrimo Don Chisciotte (1605 – 1615) di Miguel de Cervantes, il tredicesimo film di Gilliam – anche sceneggiatore con Tony Grisoni – è uno dei più noti esempi di development hell (letteralmente “sviluppo infernale”, riferito alle vicissitudini produttive) della storia del cinema. Pensato dal regista a partire dal 1989, il film entrò in produzione sul finire degli anni ’90 con Jean Rochefort nei panni di Chisciotte e Johnny Depp in quelli di Sancho Panza, ma a causa di mille problemi (sforamento di budget, tifone che distrusse i set, malattia di Rochefort) rimase incompiuto e venne abbandonato, anche perchè il regista perse i diritti della sua stessa sceneggiatura (sulla burrascosa lavorazione del film uscì addirittura il documentario Lost in la Mancha (2002) di Keith Fulton e Louis Pepe); riottenuti i diritti nel 2006, Gilliam si rimise al lavoro ma faticò non poco a trovare finanziatori, e infatti il progetto rimase in stallo fino al 2017 quando, finalmente, si iniziò a girare. Inevitabile, viste le premesse, che il film sia diventato dopo tutti questi anni un film che parla di sè stesso, pieno di allusioni alla propria lavorazione: non è difficile scorgere nella figura di Toby e soprattutto in quella di Javier lo stesso Gilliam, che da anni lotta coi mulini a vento (produttori, sistema) per affermare il proprio talento creativo, spesso scomodo o incompreso. Non a caso, l’elenco iniziale delle case produttrici (tutte piccole e misconosciute) è infinito.

Sconnesso, delirante, prolisso nella parte centrale, il film è lontano dal capolavoro che tutti noi abbiamo atteso per tutti questi anni. Tuttavia, sarebbe ingeneroso non apprezzarne il fascino visivo, la sincerità di fondo, l’originale costruzione che alterna realtà e sogno, presente e passato, talvolta senza soluzione di continuità. Certo, la parte finale è una vetta di kitsch cinematografico che fa più d’una volta storcere il naso. Ma dire che il film avrebbe fatto meglio a restare una chimera sarebbe ingiusto, soprattutto nei confronti di Gilliam che ci ha messo dentro una vita intera. Nonostante una sceneggiatura non eccezionale, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi, si rivelano ottime le prove di Pryce (il suo spaesato Don Chisciotte sognatore sembra figlio del suo Sam Lowry in Brazil) e Driver, che recita fin troppo “alla Johnny Depp” (presupponiamo che così lo volesse Gilliam) ma resta uno degli attori più duttili della sua generazione. Fotografia, come vent’anni prima, di Nicola Pecorini.

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