Tre manifesti a Ebbing, Missouri

(Three Billboards Outside Ebbing, Missouri)

Regia di Martin McDonagh

con Frances McDormand (Mildred Hayes), Woody Harrelson (sceriffo Will Willoughby), Sam Rockwell (Jason Dixon), Caleb Landry Jones (Red Welby), John Hawkes (Charlie Hayes), Lucas Hedges (Robbie Hayes), Peter Dinklage (James), Abbie Cornish (Anne Willoughby), Samara Weaving (Penelope).

PAESE: USA, Gran Bretagna 2017
GENERE: Drammatico
DURATA: 115’

Sette mesi dopo aver seppellito la figlia adolescente Angela, stuprata e bruciata viva, la grintosa Mildred Hayes acquista tre cartelloni pubblicitari su una stradina secondaria dell’immaginaria Ebbing, Missouri, e vi scrive tre frasi che non necessitano di spiegazioni: stuprata mentre moriva/ancora nessun arresto/come mai sceriffo Willoughby? Escluso il suddetto sceriffo, malato terminale di cancro (che ha sempre fatto il possibile per trovare il colpevole), l’intera cittadina si schiera contro di lei, che però è ben lungi dal darsi per vinta…

Scritto dallo stesso McDonagh e prodotto da una serie di piccole case indipendenti, è un film complesso e stratificato in cui la premessa del giallo è il pretesto per riflettere su un’America piena di rabbia e paura che ha smarrito sé stessa e, soprattutto nelle zone di provincia, sta tornando pericolosamente indietro su temi come il razzismo e i diritti civili (non a caso, è questa l’America che ha votato Trump). Nessun personaggio è davvero cattivo, ha soltanto paura di qualche cosa, e questa paura spesso si trasforma in rabbia (straordinaria la lettera che lo sceriffo scrive al suo secondo). Il problema è che, come dice la diciannovenne fidanzata dell’ex marito di Midlred citando un qualche sconosciuto manuale, “la rabbia genera solo altra rabbia”. Ed è tutto qui il senso del film, che si rivela una riuscita parabola sul dolore e su questi feroci tempi nostri. Pessimista? Assolutamente, ma non nichilista: lo dimostra l’ultimissima inquadratura in cui fa capolino una piccola speranza. McDonagh ha in mente l’Eastwood di A perfect world e Mystic River (nel racconto di un’America desolata – e desolante – dai padri assenti o corrotti) e ha studiato parecchio sul cinema dei fratelli Coen per quanto riguarda la componente ironica, ma il suo rimane uno dei film più originali, belli e struggenti dell’anno, scritto benissimo così come scritti benissimo sono i personaggi (memorabili, e nemmeno tra quelli di contorno ce n’è uno sfocato) e i loro cambiamenti. E con uno stile registico classico e lineare ma ben lontano dalla classicità “banale” di molti film di oggi: se si escludono i due avvenimenti violenti di metà film (il primo arriva come un pugno nello stomaco, il secondo, risolto con un mirabolante pianosequenza, lascia esterrefatti e spinge a partecipare) è un film privo di grandi scene madri ma strapieno di piccoli, suggestivi momenti che restano nella memoria. E di piccoli particolari che richiedono una seconda visione e propongono una serie infinita di riflessioni su questa umanità reietta e senza guida. Straordinarie interpretazioni del terzetto di testa (la McDormand e Rockwell sono stati giustamente premiati con l’Oscar), perfette le musiche del coeniano Carter Burwell, funzionale la fotografia realista di Ben Davis. Commovente, emozionante, coinvolgente, terribile, potente, crudele, persino divertente. Imperdibile.

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