L’appartamento

(The Apartment)Locandina

Regia di Billy Wilder

con Jack Lemmon (C. C. Baxter), Shirley MacLaine (Fran Kubelik), Fred MacMurray (Jeff D. Sheldrake), Jack Kruschen (Dottor Dreyfuss), Ray Walston (Joe Dobisch), David Lewis (Al Kirkeby), Joan Shawlee (Sylvia), Edie Adams (Miss Olsen), Hope Holiday (Margie MacDougall), Naomi Stevens (Mildred Dreyfuss), David White (Mr. Eichelberger).

PAESE: USA 1960
GENERE:
Commedia
DURATA:
121′

L’impiegato C. C. Baxter ha capito come fare carriera velocemente: quando i suoi superiori necessitanpo di un giaciglio per le (numerose) scappatelle extra coniugali, presta loro il suo appartamento. Quando però ci finisce la collega Fran, di cui è segretamente innamorato, si ritrova a dover scegliere tra la carriera e l’amore…

Ultimo film in bianco e nero a vincere l’Oscar come miglior pellicola, vetta dell’ultima commedia sofisticata americana e tra i film più felici di Wilder, che lo scrisse con il grandissimo I. A. L. Diamonds. Una parabola agrodolce sulla solitudine, in cui la metropoli diventa metafora dei peggiori abomini umani e di una società che ha perso il senno e ha bisogno di nascondersi per evitare che il proprio lato peggiore venga alla luce. Come in molti film di Wilder degli anni sessanta si ride, ma si ride amaro. Solleva molte questioni politiche, sociali, antropologiche: chi è peggiore, tra i superiori di Baxter che mettono le corna alle mogli e Baxter stesso, che rinuncia alla propria dignità per compiacerli? È una vittima, o un uomo privo di spina dorsale che si crea da sè la propria ripugnante condizione di vita? Nonostante lui la curi e le dimostri il suo affetto per tutto il film, Fran sceglie C. C. solo quando questi dimostra di essere un “uomo”, o meglio, quando dimostra di essere diverso dagli altri, che sono tutti soltanto bugiardi e “vuoti”. Quando smette di nascondersi dietro a ciò che la società gli chiede di essere. L’appartamento diventa un terzo protagonista, ma anche un simulacro dello sguardo del regista, che, allo stesso modo, osserva in silenzio la decadenza “morale” degli esseri umani che vi transitano. Pieno di divertenti annotazioni meta-cinematografiche (viene nominato lo stesso Wilder), allusioni sessuali (memorabile il finale in cui Lemmon tiene in mano una bottiglia di Champagne che continua a colargli sulle mani), gag diventate cult (gli spaghetti scolati con una racchetta da Tennis). Nonostante le due ore, non c’è un attimo di tregua. Cinque Oscar: film, regia, sceneggiatura originale, scenografia (Alexandre Trauner e Edward G. Boyle) e montaggio (Daniel Mandell). Lo avrebbero meritato anche i due attori protagonisti e l’elegante fotografia di Joseph LaShelle, tutti e tre soltanto nominati. Un piccolo grande film.

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