Moon

(Moon)Locandina

Regia di Duncan Jones

con Sam Rockwell (Sam Bell), Dominique McElligott (Tess Bell), Kaya Scodelario (Eve Bell da adolescente), Robin Chalk (clone di Sam Bell), Matt Berry (Overmeyers), Benedict Wong (Thompson), Kevin Spacey (voce del computer Gerty).

PAESE: USA 2009
GENERE: Fantascienza
DURATA: 97’

Futuro prossimo. Sul lato oscuro della Luna c’è un complesso minerario costruito per estrarre Elio 3, preziosa fonte energetica che soddisfa il fabbisogno della Terra intera. A vegliare sull’impianto c’è un uomo soltanto, Sam Bell, che ha come unica compagnia un computer che sintetizza voce e pensieri umani. Poco prima della scadenza del contratto, della durata di tre anni, è vittima di un incidente che lo porta a fare la conoscenza di un altro se stesso…

Esordio cinematografico del 28enne figlio d’arte Jones (il nome David Robert Jones vi dice niente?), con un piccolo film di fantascienza filosofica a basso costo assai gradevole ed originale. I modelli sono chiari: 2001: odissea nello spazio, 2002: la seconda odissea, Alien, Atmosfera zero, Solaris, persino Blade Runner; ma, nonostante gli illustri maestri, è uno dei film “spaziali” più interessanti tra quelli usciti negli anni duemila. Innanzitutto per l’idea, partorita da Jones e da lui sceneggiata con l’aiuto di Nathan Parker; poi per la messa in scena, asettica e controllata come l’ambiente in cui vive Sam. Spaventa, angoscia, diverte, ma è capace anche di grande dolcezza (si veda il rapporto tra Sam e il computer Gerty) e struggente malinconia. Suspense eccellente, ma funziona molto bene anche come metafora sulla solitudine umana e l’impossibilità di convivere con se stessi. Con una lentezza calcolata lontana da qualsiasi moda e un gusto visivo squisitamente retrò, Jones utilizza con inventiva il budget ridotto – circa 5 milioni di dollari – e utilizza modellini e ambientazioni “vere”, solo in minima parte ritoccate con il computer. L’unico effetto speciale è quello che permette ai due Sam di apparire nella stessa inquadratura, e anch’esso non è mai esclusivamente digitale (l’attore Robin Chalk, utilizzato in alcune scene come controfigura, è addirittura citato nei credits). Strepitosa performance “solitaria” di Rockwell, in grado di interpretare alla perfezione due personaggi “uguali” ma assai differenti per psicologie, comportamenti, aspetto fisico, modi di fare. Il “personaggio” più interessante, comunque, è il computer Gerty, che ribalta le riflessioni kubrickiane sul rapporto uomo/macchina e sfiora la poesia. Il finale è forse un po’ troppo consolatorio, ma il messaggio è chiaro: solo scoprendo se stessi e imparando a rispettarsi si può evitare la spersonalizzazione di questi tempi nostri ed evitare di essere sfruttati. La voce di Gerty è di Kevin Spacey, doppiato dal solito, bravo, Roberto Pedicini. Fotografia ingegnosa di Gary Shaw e bellissime musiche di Clint Mansell. Assolutamente da non perdere.

3.5

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