Ghosts of the Abyss

(Ghosts of the Abyss)

Regia di James Cameron

con Bill Paxton, John Broadwater, Lori Johnston, Charles Pellegrino, Don Lynch, Ken Marschall, James Cameron, Mike Cameron, Jeffrey N. Ledda, Corey Jaskolski, Jason Paul, Eric Schmitz, Victor Nischeta, Genya Chernaiev, Anatoly M. Sagalevitch.

PAESE: USA 2003
GENERE: Documentario
DURATA: 62’ (88’)

Girato nel 2001. Quattro anni dopo le immersioni per la preproduzione del film Titanic, il regista James Cameron torna negli abissi atlantici con un pool di scienziati per riprendere, con costosissime tecnologie all’avanguardia, il relitto del transatlantico più tristemente noto al mondo. Nell’avventura viene coinvolto anche l’amico attore Bill Paxton, che nel film del 1997 interpretava l’esploratore e cacciatori di tesori che studiava la nave.

Raro documentario che, invece di mostrare la realizzazione di un film di fiction, ne è la prosecuzione. Nel 1997 Cameron aveva ricostruito il Titanic per poterlo riaffondare; nel 2001 – uscito dalla finzione filmica – giunge sul posto e guarda ciò che ne rimane. Il visionario regista americano filma la sua esplorazione e riesce a costruire un museo visivo senza precedenti: il suo fascino deriva dall’emozione di vedere qualcosa che nessuno vede da novant’anni, un qualcosa abbandonato a quasi 4mila metri di profondità che nessuna mano potrà mai toccare. Una Luna che si trova in profondità invece che in cielo, ma è ugualmente suggestiva, meravigliosa, scioccante. Non ci sono più corpi (sono stati mangiati dalla straordinaria fauna dell’abisso), e questo porta ad un paradosso: l’uomo ha costruito una nave che doveva essere l’apice tecnologico della propria forza ma, sconfitto dalla superbia, quando questa è colata a picco egli è stato il primo a scomparire. La tecnologia è sopravvissuta al proprio creatore. Sono le 1523 vittime (specialmente membri dell’equipaggio e passeggeri di terza classe) i “fantasmi dell’abisso”, condannati da altri uomini (quelli che peccarono di superbia) ad una fine terrificante che non lascia traccia se non nei loro oggetti, nei loro abiti, nei ponti in cui camminarono e parlarono. Che è poi un altro modo per rendergli finalmente giustizia. Più poema visivo che documentario, il film punta tutto sul coinvolgimento emotivo, e la scelta di affidare a Paxton il ruolo del protagonista è decisamente azzeccata: se lo avesse fatto lo stesso Cameron, che quell’esperienza l’aveva già vissuta, non avrebbe potuto trasmettere allo spettatore l’emozione di chi, per la prima volta, raggiunge un tesoro sepolto di valore inestimabile.

L’attore invece ci riesce benissimo, anche grazie alle sue (sacrosante) fobie, ai suoi occhi meravigliati di fronte ad uno spettacolo che non conosce uguali. Immagini straordinarie, emozioni “vere”. Per una volta la computer grafica è utilizzata in modo funzionale al discorso (i “fantasmi” vengono inseriti sullo scafo per ricostruire gli avvenimenti direttamente SUL relitto) e la forza delle immagini (ampliata dal 3D IMAX) riesce a proiettare lo spettatore direttamente dentro l’avventura (geniali i passi in cui le immagini riprese dalla troupe vengono mostrate con le foto d’epoca, che mostrano com’erano i posti prima del naufragio), trasmettendogli la meraviglia, l’emozione, ma anche gli aspetti negativi della missione come la nausea, la paura del mare aperto, la constatazione (terribile) di avere quattromila metri d’acqua sopra la testa mentre si sta chiusi in una scatoletta. L’adrenalina degli esploratori, ovviamente, è a mille, ma lo spettatore – pur non trovandosi lì – riesce in qualche modo a provare quelle sensazioni uniche. I due passi finali (il recupero di un robot- telecamera in avaria e i riferimenti all’11 settembre, avvenuto qualche giorno prima che la spedizione finisse) sembrano incoerenti rispetto al corpo del racconto, ma non è così. Il salvataggio del robot (che si chiama Jake, mentre l’altro si chiama Elwood: come i Blues Brothers) la dice lunga sul pensiero di Cameron: la tecnologia, se ben utilizzata, è un compagno d’avventura formidabile cui si deve tutto, e per questo – come si farebbe con un amico in carne ed ossa – non va lasciato indietro perché si è “ferito” lavorando. Deprecabile? Forse, ma è difficile non emozionarsi quando il robottino viene recuperato. I riferimenti agli attacchi del World Trade Center rivelano invece una riflessione più profonda: il tragico avvenimento avviene quando gli uomini sono in mare, fuori da quel mondo civile che – come Ulisse nell’Odissea di Omero – troveranno al loro ritorno radicalmente cambiato; così come sono cambiati loro, in quanto nessuno torna uguale a prima dopo un’avventura del genere.

Perde qualche colpo quando “costruisce” visibilmente le sequenze, come quella dell’arrivo di Paxton sulla nave- appoggio o il finale con l’arcobaleno bianco: non perdono emotività, ma sono meno artificiose e quindi meno spontanee. Ma, in fin dei conti, il film è la prova lampante del fatto che Cameron creda appassionatamente in quello che fa: il suo interesse per il Titanic va ben al di là della realizzazione di un lungometraggio “sbanca botteghino” con Di Caprio e la Winslet. Saggia, a questo proposito, la scelta di non mostrare immagini tratte da quest’ultimo. Prodotto da Cameron con Walt Disney Pictures e Walden Media, uscì nelle sale con tiepido successo. Lo si può però trovare – con l’aggiunta di trenta minuti di materiale inedito – nella versione dvd del film del 1997. Per chi ama le emozioni forti (e sane), è un piccolo, imperdibile capolavoro.

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